Svolta nel giallo di Granarolo dell'Emilia (comune dell'hinterland di Bologna). Rita Di Majo e il marito Claudio Furlan, fermati per la morte Vito Balboni, hanno ammesso di aver avvelenato il 63enne per soldi. "Non volevamo ucciderlo", si sono difesi.
L'uomo era stato trovato senza vita nel novembre 2019, in un parcheggio. In un primo momento, si era pensato ad una morte per cause naturali.
Ritrovato in un parcheggio alle porte di Bologna
Vito Balboni, originario di Copparo (in provincia di Ferrara), ma residente da tempo a Bentivoglio è stato trovato senza vita nella sua auto a Cadriano (frazione del comune di Granarolo dell'Emilia) il 6 novembre 2019.
Alcuni residenti, avevano notato quella Renault Clio parcheggiata sempre nello stesso posto da alcuni giorni, ma nessuno si era mai accorto che al suo interno vi fosse una persona con il cuore ormai fermo e il volto cianotico.
Inizialmente, gli inquirenti, avevano pensato a una morte naturale, ma più di un dettaglio sembrava non tornare. Così, il pubblico ministero Roberto Ceroni dispose l'esame autoptico e l'Arma avviò le indagini. I Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di San Lazzaro in collaborazione con gli uomini della Stazione di Granarolo hanno, così, ricostruito le ultime ore di vita della vittima.
Avvelenato per soldi
I militari hanno scoperto che Vito Balboni aveva trascorso la serata del 31 ottobre con una coppia: Rita Di Majo, 49enne di origine napoletane e il marito Claudio Furlan, bolognese di 52 anni.
I tre, si erano dati appuntamento proprio nel parcheggio di Cadriano e poi, insieme, avevano trascorso qualche ora in città. Ad un certo punto, però, avrebbero litigato per futili motivi e il 63enne, fuori di sé, avrebbe chiesto di essere accompagnato alla sua auto.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti. la coppia ha avvelenato Balboni (sciogliendo degli psicofarmaci in una bevanda alcolica) per derubarlo. A sostegno di questa tesi, vi sono una serie di prelievi bancari effettuati la notte del 1° novembre, per un totale di 1.900 euro. In un primo momento, i due coniugi, raggiunti da un fermo "di indiziato per delitto" e accusati anche di omicidio preterintenzionale, hanno respinto tutti gli addebiti dichiarando che era stato lo stesso anziano, che nella notte si era sentito male, a fornire loro il pin del bancomat.
Domani, lunedì 20 gennaio, il fermo sarà convalidato, ma nel frattempo, come spiegato dal Resto del Carlino, Claudio Furlan e la moglie hanno ammesso di aver "corretto" la bevanda di Balboni con un ansiolitico per derubarlo, ma di non averlo voluto uccidere (volevano solo stordirlo). "Vogliono collaborare - ha annunciato il loro legale, l'avvocato Giancarlo Tunno - questa faccenda è ancora tutta da chiarire".
La coppia non ha chiamato i soccorsi
Le indagini dei carabinieri felsinei hanno evidenziato che tra il primo e il sei novembre, Rita e il marito sarebbero passati più volte a Cadriano per controllare se la Clio di Balboni fosse ancora parcheggiata allo stesso tempo senza mai, però, dare l'allarme e chiamare un'ambulanza che forse avrebbe potuto salvare il 63enne.
Da quanto si apprende, i coniugi Furlan sono delle "vecchie conoscenze" delle forze dell'ordine, lei ha sentenze passate in giudicato per estorsione e rapina, mentre lui si è reso più volte reo di percosse e reati contro il patrimonio. "Spulciando" le cronache di qualche anno fa, si è inoltre scoperto che Rita Di Majo - a detta di chi la conosce - "quando perde la pazienza non si ferma davanti a niente". E si sarebbe già resa protagonista di un episodio inquietante, simile per certi versi a quello che ha portato alla morte di Balboni. Nell'agosto del 2013, la donna - mentre era ai domiciliari - aveva aggiunto del narcotico al caffè di un rappresentante di elettrodomestici e lo aveva rapinato, sequestrandolo per ben due giorni.