Quello di Dario Chiappone fu un delitto passionale, commesso con il beneplacito della mafia. Svolta nelle indagini del pizzaiolo ucciso a Riposto, nel catanese, nell'ottobre 2016: sono stati arrestati Benedetto La Motta, soprannominato Benito o' Baffo, di 62 anni, indicato come il referente della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano, e il suo coetaneo Paolo Censabella. Sono accusati di essere tra i mandanti dell'omicidio di Dario Chiappone, 27 anni. Il ragazzo sarebbe stato ucciso perché aveva una relazione con la convivente di Censabella.

Omicidio Chiappone, arresti 'eccellenti'

Martedì mattina, su delega della Procura distrettuale, i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Catania hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del Tribunale di Catania, nei confronti di Benedetto La Motta e Paolo Censabella. Sono accusati di concorso in omicidio, con l’aggravante di aver agito con premeditazione e crudeltà. Sono ritenuti i mandanti e organizzatori del feroce omicidio di Dario Chiappone, ucciso con 18 coltellate al collo e al torace.

Ad eseguire materialmente il delitto, sarebbero stati Agatino Tuccio e Salvatore Di Mauro, quest'ultimo latitante e imputato in contumacia di omicidio.

In primo grado, la Corte d'assise di Catania, ha condannato Tuccio all'ergastolo e Di Mauro a 23 anni di carcere. Paolo Censabella, titolare di una rivendita di vini e liquori a Riposto, era il convivente di Maria Alessandra Rapisarda, già socia dell'attività, con la quale il pizzaiolo aveva una relazione sentimentale: per questo, Censabella avrebbe ideato con La Motta il delitto d'onore nei confronti del giovane rivale.

Tra gli esecutori del delitto anche il 'killer delle carceri'

In un caso intricato, i protagonisti sono molteplici. Un ruolo attivo nell'omicidio l'avrebbe svolto Antonino Marano, 75 anni, originario di Riposto, soprannominato zio Nino o il killer delle carceri, arrestato per lo stesso delitto il 20 dicembre 2019. Marano, che ha già trascorso 49 anni in carcere, sarebbe stato uno dei tre esecutori dell'omicidio.

Un indizio rilevante sarebbe costituito dalle impronte digitali. Gli inquirenti le avevano acquisite dopo un arresto per detenzione e porto illegale di armi, poi presso la casa circondariale dove era detenuto per altro reato. I Ris di Messina le hanno poi comparate con le impronte prese nel corso del sopralluogo eseguito per l’omicidio Chiappone: dimostrerebbero la presenza di Marano sul luogo del delitto. A lui, il provvedimento di custodia cautelare è stato notificato direttamente in carcere.

L'inchiesta, decine di intercettazioni e messaggi

Tra le carte dell'inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto, Ignazio Fonzio, ci sono decine di messaggi e intercettazioni ambientali in carcere. C'è poi una foto di Chiappone che era sul suo profilo Facebook e che prima dell'omicidio sarebbe rimbalzata da un cellulare all'altro dei soggetti coinvolti nella vicenda.

Nelle intercettazioni ambientali nel carcere di Palermo, Marano, parlando con la moglie e gli altri parenti che vanno a trovarlo frequentemente, racconta che La Motta sarebbe stato pagato per assoldare tre sicari per l'omicidio. Per portare a termine l'operazione, agli esecutori sarebbero stati sborsati complessivamente 12 mila euro pagati in due rate da Censabella. Marano, dal carcere, si lamenta però del comportamento del boss che non avrebbe pensato a lui nella difficile condizione attuale: da qui l'idea di avviare una colletta tra i pescatori di Riposto per sostenere le spese legali.

Tra i messaggi d'interesse investigativo ce ne sarebbe uno inviato da Censabella alla donna che avrebbe scatenato il delitto.

Le aveva scritto che lui la venerava come una dea ma lei, invece, si buttava via per niente in una stradina che non aveva uscite. Un messaggio cifrato che sembrerebbe l'annuncio del delitto: Chiappone fu ucciso in via Salvemini, un budello, tra le strade di Riposto, senza uscita. Tentò di contrastare i suoi aggressori, ma ebbe la peggio.