Che fine ha fatto Massimo Riella? Lo scorso 12 marzo, il 48enne, da dicembre in carcere in attesa di giudizio con l'accusa di rapina ai danni di due anziani, era stato protagonista di una spericolata evasione a Brenzio, frazione di Gravedona, provincia di Como. Per un mese se ne è stato nascosto tra i boschi dell'Alto Lago: sarebbe stato aiutato da compaesani e valligiani. È vivo e ancora in fuga, o come teme Domenico, il padre 80enne, potrebbe essere morto? Ieri, 12 aprile, Domenico è stato dai carabinieri a denunciarne la scomparsa. Venerdì 8 aprile, secondo il padre, un agente di polizia penitenziaria gli avrebbe sparato.

Massimo Riella, il mistero della scomparsa

All'inviata de La vita in diretta, Antonella Delprino, Domenico ha fornito una ricostruzione molto accurata di ciò che sarebbe accaduto la sera dell'8 aprile: doveva incontrare suo figlio latitante quando sono arrivati alcuni agenti della polizia penitenziaria. "Ci siamo messi d'accordo da uomini, da persone oneste, non doveva succedere niente". Arrivato fino al nascondiglio di Massimo in montagna con un solo agente della polizia penitenziaria per convincerlo a costituirsi, il figlio si era mostrato disponibile a dialogare. "Ha ripetuto sempre le stesse cose, che lui è innocente, che non ha fatto la rapina e che non vuole andare in carcere". Non avrebbe derubato e aggredito due compaesani 90enni e avrebbe le prove che a farlo sarebbe stato un amico che spaccia droga.

"Nella mia vita ho sempre pagato, ma questa rapina non l’ho fatta e non voglio pagarla", avrebbe detto all'agente Poco dopo, però, alla vista di altri poliziotti, Riella avrebbe mostrato segni di insofferenza e, strattonato da un agente, si sarebbe divincolato. Sarebbe stato sparato un primo colpo "seguito da altri quattro o cinque": Massimo dopo aver urlato, abbandonato zaino e bastone, si sarebbe gettato in un burrone precipitando per alcuni metri.

"Sei contento? adesso l'hai ucciso?", avrebbe detto Domenico all'agente. "No, no, ho sparato in aria", la risposta. Secondo Domenico, i colpi mentre il figlio scappava sarebbero stati sparati ad altezza uomo, ma gli agenti hanno riferito di aver sparato in aria solo come avvertimento. "Al momento stiamo facendo le verifiche del caso.

Comprese le eventuali ricerche del corpo, ammesso che la versione raccontata da Domenico Riella sia autentica", riferiscono i carabinieri.

Massimo Riella non ha più il 'kit di sopravvivenza'

Massimo Riella ha trascorso un mese in clandestinità nei boschi tra le montagne in cui è cresciuto. Ha un passato da bracconiere. Dopo la sparatoria, il papà ha raccolto lo zaino color verde militare mostrando il contenuto, un kit di sopravvivenza che ora non avrebbe più: pentolino, sacco a pelo, maglietta intima, calze e guanti di lana, riso, biscotti, caffè, pane, lampadina, corda d'arrampicata, candele, occorrente per accendere il fuoco, necessario per fare la barba, tre pacchetti di sigarette, cucchiaio e coltello.

Starebbe proseguendo la caccia al latitante da parte degli inquirenti, certi della denuncia presentata dall'agente penitenziario che conferma che la fuga c'è stata, ma nessuno ha più visto Massimo Riella, meno che mai i familiari in allarme. Anche Silvia, figlia 20enne teme che sia morto. Ieri, nonno e nipote hanno chiesto al Soccorso alpino di avviare le ricerche. Non erano mai capitati quattro giorni di silenzio da parte di Massimo e all'anziano padre, tramite 'pizzini', aveva sempre fatto sapere i suoi spostamenti. Potrebbe essere nascosto e ferito?

Due indagati per favoreggiamento

Ieri, 12 aprile la Procura di Como ha reso noto che marito e moglie, Alessandro e Romina Ieri, sono indagati per favoreggiamento.

Sono residenti a Dosso del Liro, il primo paese 'visitato' da Riella in fuga. Si sono difesi: "È un conoscente, ha bussato alla nostra porta come a quella di tanti altri, è stato da noi mezz'ora, il tempo di un caffè".

Massimo Riella aveva ottenuto un permesso premio per andare a pregare sulla tomba della mamma da poco scomparsa. Perciò, il 12 marzo era stato portato al cimitero da cinque agenti della polizia penitenziaria. Il permesso gli era stato accordato dopo essere salito per protesta sul tetto del carcere di Como. Ma poi, una volta sul posto senza manette, appena sceso dal furgone era scappato. Proprio il padre avrebbe rivelato che gente del posto lo avrebbe aiutato. Domenico aveva parlato anche di un accordo secondo il quale avrebbe portare il figlio dai carabinieri perché pagasse il suo conto con la giustizia, ma solo per l'evasione.

"Prima bisogna arrestare il vero colpevole. Il mio Massimo è mezzo matto, mi ha fatto disperare. Però non è tipo da picchiare gli anziani". Per il padre Domenico, sarebbe scappato per dimostrare a tutti la propria innocenza, ma stavolta sarebbe morto.