Alessia Pifferi, la 38enne che nel luglio 2022 lasciò morire di stenti la figlia Diana (di 18 mesi) era capace di intendere e di volere. Lo ha stabilito la perizia svolta nell'ambito del processo in Corte d'Assise di Milano firmata dallo psichiatra forense Elvezio Pirfo, secondo cui la donna avrebbe anteposto i suoi desideri di donna ai doveri di madre. Pifferi nel corso dei diversi colloqui aveva ammesso di sentirsi una cattiva madre: "La mia mente si è spenta" si sarebbe giustificata.
Alessia Pifferi era in grado d'intendere e di volere
Nella giornata di questo lunedì 26 febbraio è stata depositata in Corte d'Assise la perizia firmata dal dottor Pirfo.
Lo psichiatra forense, da quanto si apprende, ha dichiarato che Alessia Pifferi, al momento dei fatti di cronaca nera che la vedono imputata, era capace di intendere e di volere. Nella perizia di 130 pagine si sostiene che non sono dimostrabili disabilità intellettiva, disturbi psichiatrici maggiori o gravi disturbi di personalità.
"In considerazione della mantenuta capacità di intendere e di volere - ha infatti precisato lo psichiatra - è impossibile formulare una prognosi di pericolosità sociale correlata ad un'infermità mentale".
Alessia Pifferi è accusata di omicidio pluriaggravato per avere lasciato morire di stenti la figlioletta Diana, abbandonandola a sé stessa, nel loro appartamento alla periferia di Milano, per quasi una settimana.
Quei giorni di luglio, secondo il perito incaricato, l'imputata ha preferito tutelare i propri desideri di donna, a discapito dei doveri d'accudimento materno verso la piccola. Inoltre avrebbe anche adottato "un'intelligenza di condotta, in considerazione delle motivazioni delle proprie scelte fornite a persone diverse".
La donna ora rischia l'ergastolo
Secondo la relazione, Alessia Pifferi sarebbe in grado "di stare in giudizio" in quanto è stato riscontrato un funzionamento cognitivo integro, accompagnato da una buona capacità di comprensione della vicenda giudiziaria che la riguarda, in termini di disvalore degli atti compiuti e di sviluppo della vicenda processuale.
La mamma della piccola Diana, dunque, potrebbe essere condannata, come pena massima, all'ergastolo, in quanto l'omicidio contestato ha più di un'aggravante, tra cui la premeditazione.
Lo psichiatra forense ha anche precisato che la spettacolarizzazione mediatica subita dalla delicatissima vicenda avrebbe potuto costituire, seppur in maniera indiretta, una pressione psicologica sul perito e sui consulenti di parte. Tuttavia questo rischio non si è realizzato in quanto l'attività peritale si è svolta - nonostante le diverse valutazioni cliniche e forensi - in maniera professionalmente serena anche grazie all'atteggiamento di collaborazione adottato nei confronti dello scrivente dai periti di parte.