"Il ponte delle spie" di Steven Spielberg, uscito nelle sale italiane il 16 dicembre scorso, è destinato a diventare un "classico" della storia del Cinema, profondamente consapevole della sua funzione che scava in profondità in un'epoca storica non molto lontana. Il favolistico Spielberg, indifferente ai dogmi del cinema d'avanguardia, racconta il nostro presente storico fatto di sospetti, diffidenza, intercettazioni selvagge, giudizi affrettati e pregiudizi sul credo che professa un individuo, attraverso il passato e nella fattispecie, di spionaggio ai tempi della Guerra Fredda.
Trama del film
Siamo a Brooklyn nel 1957, l'avvocato James B. Donovan, interpretato da uno straordinario e paradigmatico Tom Hanks con il suo cappotto, cappello e ombrello, è un uomo tutto d'un prezzo, intransigente, con un alto senso della morale e del dovere, che decide di rispettare senza se e senza ma la Costituzione Americana cui sente di appartenere profondamente. Proprio questo amore per la Nazione, spinge Donovan a prendere le difese, con grande dedizione, di Rudolf Abel (l'attore shakespeariano Mark Rylance da premio Oscar), una spia russa che si presenta come pittore di paesaggi e di ritratti, e per questo motivo diverrà oggetto di minacce e intimidazione da parte degli strenui difensori della patria.
Ma l'impavido avvocato va avanti per la sua strada, litiga con la moglie, viene redarguito dal socio di studio secondo il quale Donovan dovrebbe pensare ai fatti propri, fino a quando riesce ad evitare la sedia elettrica ad Abel ed arriva alla Corte Suprema la quale infligge all'imputato 30 anni di carcere. Ma da questo momento in poi comincia la parabola ascendente di Donovan che è al contempo credibilissimo davanti agli occhi della Russia, della CIA e della nascente DDR: fa ritornare negli Stati Uniti due prigionieri americani e, incaricato da Kennedy, riesce perfino a riportare in patria 980 americani tenuti prigionieri a Cuba.
Proprio lui, Donovan, un avvocato che si occupava di assicurazioni, è riuscito da solo laddove hanno fallito il Governo Americano, il KGB, la Corte Suprema e quant'altro; questo perché, ci mostra Spielberg, è il singolo uomo con la sua storia e il suo spessore umano, capace di spiazzare i vertici che contano e che sono comunque pronti ad accogliere i gesti altrui, ma solo perché ciò comporta loro dei vantaggi.
Una pellicola "letteraria"
Il racconto di Spielberg comincia con un passo hitchcockiano per poi approdare nella letterarietà, facendo della storia già una leggenda, un mito che trova la sua esemplificazione nell'immagine del muro di Berlino. Donovan è un personaggio che non si occupa di qualcosa, lui non fa, lui è, ed è un giusto, perché come dice lui stesso "Ogni uomo è importante e merita una difesa" ed in questo senso egli vede Abel non come un nemico, come una spia, ma come una persona alla quale dà una connotazione umana. Donovan sa chi è Rudolf Abel a dispetto della sua immagine pubblica della quale si interessa ben poco. Dopo "Salvate il soldato Ryan", Spielberg ha realizzato nuovamente un magnifico dramma di guerra basandosi su fatti veri, ispirandosi, dal punto di vista stilistico agli anni '50, evitando il manierismo e puntando molto sull'impatto emotivo.