L'autunno è il mese delle tragedie giapponesi: il 7 dicembre 1941 segna l'entrata in guerra contro gli Alleati con l'attacco kamikaze alla base americana di Pearl Harbour, che provocò più di 2500 vittime tra militari e civili, Il 25 novembre, 52 anni fa, il suo più grande scrittore, Yuko Mishima, si suicidava, squartandosi il ventre, davanti al Palazzo del governo di Tokyo, per protestare contro la nuova costituzione.

Ninja e Samurai

Fatte queste premesse, risulta coerente, a partire dallo scorso week end, la mostra al Museo d'Arte orientale di Torino, "Ninjia e Samurai.

Magia ed estetica". Il ninja nel Sol Levante è la spia protagonista di ogni guerra, come lo erano i guerrieri ombra dell'antico Impero nipponico: sorta di Agente OO7 alla James Bond.

Figura necessaria ai servizi segreti di entrambi gli schieramenti ancora nella Seconda guerra mondiale. Quanto all'esteta Yuko Mishima, il Ferdinand Céline giapponese, che, oltre a romanziere, fu medico di guerra per l'esercito francese in Camerun nel primo conflitto mondiale (lo ricorda lo scrittore parigino nel Romanzo capolavoro "Viaggio al termine della notte"), piacevano più i samurai.

Il tradizionalista giapponese li preferiva, perché simbolo dell'eroismo guerriero del suo Impero, piuttosto che le spie doppiogiochiste, usate anche da Weistein per occultare le accuse di molestie sessuali.

Nei suoi romanzi questa simbologia bellica che sfociava nel suicidio in caso di sconfitta, veniva estetizzata e trasfigurata. La Seconda guerra mondiale per il Giappone, schieratosi con i nazifascisti, si concluse, invece, con le bombe atomiche a Hiroshima e a Nagasaki.

La guerra dalla letteratura alla realtà

Malgrado l'interessante mostra al Museo d'arte orientale di Torino, questi scenari riportano a un bellicoso presente con la minaccia di una Terza guerra mondiale da parte della Corea del Nord.

Il suo leader, Kim Jong-un, sembra riproporre il progetto del Giappone di metà Novecento della "Sfera di coprosperità della Grande Asia Orientale", preparato 10 anni prima con l'aggressione alla Cina.

Era un delirio di onnipotenza, volto a dominare i popoli asiatici, una volta liberati dagli occidentali. Meglio, allora, godersi le duecento opere nipponiche che vanno dal periodo Edo al Secolo breve, prestate al Mao di Torino dal Museo d’Arte Orientale di Venezia.

Non è la prima volta che avviene un simile scambio culturale. L'anno scorso all'Armeria reale sabauda era stata esposta un'armatura da samurai, realizzata fra il XV e il VXIII secolo e donata dall'imperatore del Giappone Meiji a Vittorio Emanuele II, dopo l'Unità d'Italia. Questa civiltà in occidente ha sempre più ammiratori. Basti pensare al kick boxing, amato dal presidente francese Emmanuel Macron, che assomiglia al kendo, presente come il sakè, in tutti i romanzi mishimiani. E poi ai kimono che facevano bella mostra alla scorsa fiera dei tulipani di Pralormo.

Neppure si possono dimenticare le geishe giapponesi: quelli per la danza, per la cerimonia del tè e per la conversazione di corte che sono passate alle nostre corti rinascimentali, per merito dei veneziani che commerciavano con l'Oriente.

Ieri sulla Lettura del Corriere della sera, l'antropologo Adriano Favole, citava i muovi imperatori del Sol Levante: Akhito che abdicherà nel 2019 e il suo successore, il primogentio Nuruhito, discendente di una stirpe che risale al 660 AC. Era proprio queste gloriose dinastie che ispiravano Mishima. Riteneva il loro splendore perduto per sempre dal suo Giappone, vittima dell'occidentalizzazione.

Nelle vetrine delle sale del Museo d'arte orientale, dietro la Cupola della Sindone, ancora in fase di ristrutturazione ci sono i loro corredi, le katane che venivano tradizionalmente identificate con l'anima stessa del suo possessore e i koto, le loro arpe di origine cinese.

Prima di accedere all'esposizione, il visitatore viene incollato dalle immagini di un video-documentario sull'esoterismo confuciano e buddista che riporta al cinema di Hakira Kurosawa e di Kitano Takeshi e all'indimenticabile monaco Mizogougshi che nel romanzo "Il Padiglione d'oro", ritenuto il migliore di Mishima, incendia il tempio di irraggiungibile bellezza.