Lo street artist più noto e misterioso al mondo ha dedicato un murale lungo più di 21 metri, realizzato insieme alla collaborazione con l’artista Borf tra Houston Street e Bowery a New York, all’artista Zehra Doğan incarcerata a causa di un dipinto postato sui social.

Zehra Doğan: chi è costei?

Zehra Dogan è un’artista e giornalista di origine curda, con cittadinanza turca, direttrice di Jinha, un’agenzia di stampa curda composta di sole donne ed animata da un’attitudine femminista con particolare attenzione riguardo i diritti delle donne appartenenti a minoranze etniche.

Nel 2015 il suo nome era già divenuto scomodo e mal tollerato dalle autorità, di fatto in quel periodo, la giovane reporter aveva scritto una serie di articoli sulle donne yazide riuscite a fuggire dalla prigionia imposta dall’Isis e dalle terribili prevaricazioni subite. Un duro lavoro di testimonianza che le era valso il premio Metin Göktepe Journalism Award, il riconoscimento conferito per ricordare Metin Goktepe, giornalista torturato e assassinato nel ’96 dalla polizia turca.

L'arresto ed il processo

Nel febbraio 2016 Zehra si era trasferita a Nusaybin, una cittadina situata nella Turchia sud-orientale, fu per lei una città-trappola, origine di un destino ancora oggi impigliato nell’errore e nella prevaricazione di un governo che il 21 luglio 2016 la fece arrestare in un bar di Nusaybin con l’accusa di essere un’affiliata al PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, in poche parole una sorta di cospiratrice.

In prima istanza diversi testimoni confermarono la sua “colpa” senza però né saper indicare il suo nome né di quale “colpa” si stesse parlando, ma basandosi soltanto su sul aspetto fisico, quello una donna minuta con un anello al naso.

Date le testimonianze poco attendibili Zehra Dogan venne inizialmente assolta con la conseguente scarcerazione avvenuta il 9 dicembre, dopo 6 mesi passati in prigione.

Ma il processo non finì lì, perché Zehra Doğan caratterialmente, non è mai stata una che molla, è una piccola donna con l’anello al naso che racconta storie scomode e per farlo utilizza tutto ciò che ha a disposizione: parole, pennelli, matite e voce.

Il dipinto condannato

Al termine del processo, il 2 Marzo 2017, la Corte d’Appello confermò la prima condanna, inizialmente sospesa: 2 anni, 9 mesi e 22 giorni di carcere.

Il crimine commesso? Aver pubblicato un dipinto sui suoi social network ispirandosi ad una fotografia che circolava sui social media, scattata nel 2015 nella cittadina di Nusaybin, durante i pesanti combattimenti tra l’esercito turco e i militanti curdi.

L’opera incriminata, quella di una città distrutta colpita dalle forze armate governative è stata immediatamente considerata oltraggiosa nei confronti della bandiera nazionale dalle autorità locali, e l’autrice accusata di una diffusione volontaria e consapevole di "propaganda terroristica”.

La foto, così come il dipinto, ritrae un paesaggio urbano post bellico: cumuli di macerie tra le strade di Nusaybin, appese ad alcune case sventrate si scorgono dei vessilli turchi, segni sinistri e squillanti in mezzo a una coltre di fumo e di polvere.

Una rappresentazione sicuramente cruda ma che racconta la feroce realtà che ogni giorno, in quell’angolo di mondo, si riduce in paesaggi di rovine, in diritti calpestati che nel silenzio generale colpiscono migliaia di civili ed innocenti.

Il fragore delle bombe, l’orrore jihadista, la lotta armata del PKK nel pugno di ferro di Ankara, sono fatti che Zehra dipinge, disegna e racconta confezionando notizie e schizzando frammenti di cronaca sul foglio, ed ecco che la carta stampata e le immagine diventano cospiratrici, divengono verità scomode, e l’attività giornalistica della giovane reporter si traduce in una oltraggiosa cospirazione contro il governo vigente, ma questa tragedia ha un nome, un copione e dei responsabili.

Questo perché nel Paese di Erdogan basta un solo dipinto, postato sui social, per guadagnarsi un biglietto di sola andata per il carcere e rimanerci per più di 2 anni.

Il sostegno di Bansky

Dove in passato sono stati ospitati lavori di artisti celeberrimi come Keith Haring e Os Gêmeos. Questa volta tocca a Banksy, che con la sua ultima opera entra definitivamente nell’olimpo dell’Arte Contemporanea. L’opera del misterioso street artist inglese, realizzata in collaborazione con un altro artista Borf, arrestato nel 2005 per aver preso parte alle proteste in Scozia per il G8 e incriminato per vandalismo contro proprietà pubbliche e private, vuole esprimere la propria vicinanza attraverso la sua opera che ripropone nella lunga parete di 21 metri, una prigione composta da moltissime sbarre che oltre ad identificare le celle rappresentano anche con linee il numero di giorni di libertà che sono stati tolti a Zehra Dogan.

Da una cella spuntano il viso e le mani della giovane giornalista.

Così come nel novembre scorso l’artista cinese Ai Weiwei denunciò l’ingiustizia subita dalla giornalista anche Bansky ha deciso di scendere in campo, e nonostante una petizione in corso creata dal sito Voice Project, per far sì che la giovane venga liberata, nulla è cambiato. 18 sono i mesi che Zehra dovrà ancora passare in carcere. Per un dipinto. Uno.