È alla sua opera prima Hubert Charuel con Petit Paysan, al Cinema dal 22 marzo. Il regista ne ha parlato a Roma nei giorni scorsi. Si segue la vicenda di un piccolo allevatore e della lotta disperata che cerca di condurre contro una malattia che sta decimando le sue mucche da latte. “Il punto di partenza è la crisi degli anni novanta della mucca pazza, perché all’epoca si applicava il cosiddetto principio di cautela e di precauzione e si tendeva ad uccidere tutte le mandrie per cercare di evitare la diffusione della malattia”. Ha spiegato. Prendendo spunto da situazioni molto verosimili si percorrono le paure di un trentacinquenne che vede in pericolo tutto ciò che ha mentre l’unico modo per guadagnarsi da vivere è allevare mucche da latte.

In questo film si fanno i conti con il rischio di perdere tutto. La forte sensibilità di Charuel proviene per lui dall’esperienza familiare, legata a doppio filo con la natura e il mondo agricolo. “Sono figlio di agricoltori e tutto il film si svolge nella loro fattoria, ma non è più in attività”. Il film è ambientato in Charente, verde dipartimento regionale nell’ovest francese. “Mia madre era veramente innamorata delle sue mucche. Mi ricordo una sua frase mentre seguivamo le notizie in tv: ‘se fanno fuori le mie mucche mi suicido’. Una frase che mi ha traumatizzato. Da qui parte la genesi del film”.

Come titolo completo per la versione italiana è stato scelto Petit Paysan – un eroe singolare, ma in esso il ruolo della famiglia come valore aggiunto per questo solitario allevatore è fondamentale.

Charuel ha rivelato anche che alcuni ruoli nel cast sono ricoperti da suoi parenti. “Mia madre interpreta l’ispettrice sanitaria, mio padre fa il padre del protagonista e mio nonno il vecchio vicino di casa". Con una narrazione lucidamente realista questo bell’esordio alla direzione di un lungometraggio infila il naso in una realtà molto lontana e misteriosa per la gente di città.

Il grande successo di botteghino in Francia

Nel suo paese, la Francia, il riscontro è stato molto positivo, con un incasso totale di 4 milioni di euro. Segnale positivo per argomenti legati all’attualità rurale. Lavorare con gli animali e con i bambini sono gli ostacoli più insidiosi per chi fa cinema, per via dell’ordine sul set e della precaria prevedibilità della lavorazione.

“Noi abbiamo lavorato nel rispetto del benessere degli animali. Sul set c’erano i veterinari e gli ispettori per la gestione, oltre a mia madre. Per la scena della mucca malata, per far sì che si adagiasse bastava piegarle una zampa con una semplice tecnica di dressage”. E qui ha scherzato sull’ipotesi lontana di impelagarsi a fare un nuovo film non con trenta mucche ma trenta bambini. Ma Petit Paysan guarda anche alle professioni femminili della campagna e alle relazioni di genere in questo ambiente. Charuel ha poi tessuto le lodi della propria madre lavoratrice.

Cinema, allevamenti e veganesimo

Guardare un film che quasi umanizza le mucche per il profondo rispetto con le quali vengono trattate potrebbe far pensare a una tendenza vegana.

Ma non è così. “Non sono stato ispirato dall’idea del veganesimo. Ma è vero che Pierre – il protagonista – ama molto le sue mucche, eppure mangia carne. È uno stano modo di amare”. Ha riflettuto con i giornalisti il regista di campagna. “Anche mia madre aveva molti capi ma ogni tre mesi ne mandava qualcuno al macello. Amare tanto gli animali per poi essere in grado di ucciderli è una situazione un po’ ambigua, però la produttività porta gli allevatori a questa prassi”.

Humour nero e la figura del contadino per Charuel

Non sono mancate alcune planate ironiche da parte del regista, che nel film dosa con razionalità ed equilibrio. “Quello che m’interessava era mischiare generi come thriller e commedia ambientandoli nell’agricoltura.

C’è anche dello humour nero durante la scrittura intorno agli omicidi, non alle uccisioni, delle mucche. Poi si rifletteva sulla difficoltà di nascondere un cadavere accostando la cosa a una mucca di 700 chili”.

Infine Charuel si è soffermato su status quo e pregiudizi sull’uomo di campagna. “Quando mi sono iscritto alla scuola di cinema Femis tenevo nascoste le mie origini perché temevo che si pensasse che fossi meno colto, più stupido. C’è però un’evoluzione adesso. Da una decina d’anni questa essere agricoltore significa più avere rispetto della natura e del paesaggio".

Petit Paysan ha conquistato 3 Premi Ceasar mentre il riconoscimento di France Odeon, consegnato dal direttore Francesco Martinotti è arrivato in occasione della presentazione italiana. Ma dopo l’esordio il regista, anche se alle prese con l’organizzazione di una meritata vacanza già pensa anche a un prossimo lavoro.