'Sono nato a Bergamo, in un quartiere chiamato Malpensata. Invece spero che mia madre abbia avuto una bella pensata a mettermi al mondo'. Così rispondeva Ermanno Olmi, a chi gli chiedeva dove fosse nato, sciogliendo il dubbio se Bergamo o nelle campagne di Treviglio, nei pressi, come scrivevano in molti. L’aforisma del regista scomparso ad Asiago, nell'ospedale dov'era ricoverato da giorni e dove la comare secca è venuta a prenderselo, dopo averlo sfiorato trent'anni fa con la stessa malattia, è fulminante nella sua semplicità. Rivelatore dell’animo e della poetica del regista scomparso a 86 anni.
Con lui se n’è andato un grande vecchio, uno degli ultimi grandi del cinema italiano.
Un cantore del mondo contadino, ma non solo
Con lui se ne va un cantore del mondo contadino che a Treviglio lo segnò senza mai più lasciarlo, ma anche un regista onirico, a tratti visionario. Narratore di quel mondo al tramonto, dell’epopea degli ultimi. Del quinto stato che Ferdinando Camon seppe narrare in letteratura e Pier Paolo Pasolini voleva trasformare, con afflato nostalgico, in barriera contro e la massificazione e l’industrializzazione che spopolò le campagne. Un mondo scomparso e neppure la depressione economica può far rinascere, se non scimmiottandolo nelle forme dell’agricoltura biologica e del veganesimo di tendenza.
L'amore per il dettaglio che si fa trama e senso
Olmi, dunque, quel mondo seppe raccontarlo al meglio, da cineasta di razza qual era, con L’albero degli zoccoli – immancabilmente riproposto nel coccodrillo televisivo – che vinse la Palma a Cannes nel ‘77. Gli ultimi, i dimenticati e rejetti, tornano nell’opera del regista come in un loop immaginifico.
Primeggiano in vasta parte della sua nutrita filmografia, popolano infine il villaggio di cartone d’uno dei suoi ultimi film, denuncia d’un mondo e d’una Chiesa disattenta alle nuove povertà, verso la quale era aspramente critico. Ma c’era la storia, pure, l’attenzione per il dettaglio che si fa trama e senso. Come nell’ultimo Torneranno i prati, ambientato sull’altopiano d’Asiago, dove infine aveva scelto di vivere, durante la Grande guerra.
O nel Mestiere delle armi, narrazione minimale ma ricchissima d’un mondo che sta per cedere il passo a un altro, d’un capitano di ventura – Giovanni dalle Bande nere – che se ne va trafitto da una palla di piombo, summa tecnologica del tempo.
Un Cristo da ritrovare e abbracciare
Chi se ne va senza tornare è il simil Cristo di Centochiodi, reificato sullo schermo da Raz Degan, per una volta a suo agio in una qualche parte, del tutto simile al suo, di Cristo. Un Cristo che, inchiodata letteralmente al suolo una cultura libresca, non ne vuole più sapere di salvare un’umanità dolente e se ne va per i fatti suoi, da tutt’altra parte. Speriamo che quel suo Cristo l’abbia infine trovato e abbracciato, Olmi, nel mondo dilà.