Nelle scorse ore BlastingNews ha intervistato in esclusiva una delle più note stiliste sarde, Antonella Fini. Nata nel marzo 1966 a Sorso, risiede ormai da tempo a Porto Torres. Fiera dei suoi tre figli, Rosalia, Sara e Giuseppe, è molto conosciuta nel campo della Moda. Impegnatissima nel sociale, si è resa protagonista di numerose iniziative di solidarietà, diventando un punto di riferimento per giovani e meno giovani. Viene definita la "stilista turritana", poiché, pur orgogliosa delle proprie radici sorsensi, deve a Porto Torres la nascita al mondo della moda.

Vediamo quello che ci ha detto.

L'intervista alla stilista Antonella Fini

Antonella, partiamo da una descrizione personale. Chi sei?

"Sono una donna che ha sempre sognato di fare la stilista, anche se da bambina ero molto confusa. Quando mi chiedevano cosa vuoi da grande, io rispondevo o faccio la stilista o faccio l'avvocato. Tutti chiaramente si mettevano a ridere, perché sono due mestieri completamente diversi. Ma ho perseguito la mia ambizione, anche se ho fatto il cammino inverso. Prima sono diventata madre, poi stilista"

Quando hai avuto il primo strumento di lavoro?

"La prima macchina da cucire l'ho avuta in regalo da mio marito per il diciottesimo compleanno. Vi racconto una curiosità. In pratica non sopportavo il libretto delle istruzioni e dovevo toccare tutto.

Quindi dopo averla smontata per poter capire come funzionava, non sono riuscita a rimetterla apposto. Perciò dovevo giustificare in qualche modo il misfatto, dicendo a mio marito che gli avevano venduto uno strumento di pessima qualità. Dopo averla portata in assistenza, lì si scopri che era colpa mia. Ma grazie a quella macchina, iniziai i miei lavori da autodidatta.

Acquistavo dei ritagli di tessuto per poter fare le prime gonnelline a mia figlia, benché non capivo che il pedale più lo si schiacciava forte, più questo correva. E quindi, inizialmente, non riuscii a gestire la macchina, fintanto che non iniziai e prendervi confidenza".

Quando hai deciso di diventare stilista?

"Inizialmente affermavo della mia indecisione tra fare l'avvocato o la stilista.

Ma ho capito, col tempo, che volevo svolgere quest'ultima professione. E' maturata in me la consapevolezza e mi sono detta che seppure fosse stato un insuccesso, me ne sarei fatta una ragione. Credevo in me stessa, ma avevo paura di affrontare la gente. Ma già a casa avevo il mio laboratorio col manichino. Insomma, il taglia e cuci ha sempre fatto parte della mia vita. Anzi, aggiungo che è terapeutico, soprattutto nei momenti tristi".

A proposito di momenti tristi, ci sono stati anche momenti difficili...

"Sì. In seguito a un trauma mi ammalai del morbo di Basedow, una malattia autoimmune dalla forma più grave. Una gravità assoluta che indusse l'endocrinologo ad affermare che sarei morta entro 15 giorni.

Subii un intervento chirurgico, rischiando di non passare la notte, ma quando la mattina compresi che ce l'avevo fatta, mi imposi di fare la mia prima sfilata. Occorreva darmi dei tempi specifici, perché il termine subito non significa nulla. E sono sicura che quando vuoi qualcosa, tutto l'universo si adopera in modo tale che questo avvenga".

E da lì a poco ci fu la tua prima sfilata?

"Mi dissero che il parrucchiere del paese organizzava sfilate. Feci la proposta e rispose entusiasmato. Avvenne nella Piazza del Comune a Porto Torres e fu un successo. Da lì ne seguirono tante altre, ma quella non la dimenticherò mai. Un mix di sensazioni contrastanti, dalla risata al pianto".

Tra le tante, quali ricordi con particolare affetto?

"Una sfilata che ricordo con intensità è quella a Balai, grazie al compianto Alberto Mura, nella quale presentai una serie di abiti ispirati alla sposa araba. In tale occasione era presente l'ufficio stampa del Gran Ballo delle Debuttanti di Stresa. Notarono i miei capi e mi invitarono, per l'appunto, a Stresa. Accettai con immensa gioia. Li vedevo sempre alla tv e per me era un sogno, qualcosa di irraggiungibile. Andai accompagnata dalle mie figlie e fu la realizzazione di quel sogno. L'evento, peraltro, fu ampiamente seguito dalla stampa, che mi ha sempre sostenuta e stimata".

Ma, per te, cosa significa fare la stilista?

"Significa mettersi davanti al giudizio della gente e lottare contro l'invidia di alcuni.

Ricordo sempre che quando avevo circa 21 anni, feci il mio primo abito da cerimonia. Per me stessa, per fare la testimone di nozze. Me lo ricordo ancora, era semplice, molto lineare, fatto con tutti i crismi. Quando una mi disse che bello, le risposi, orgogliosamente, che lo avevo fatto io. Al che, con invidia, cambiò faccia rispondendo che effettivamente si notava il mio tocco. Questo per dire quanto alcuni siano gelosi".

E' noto anche il tuo impegno nel sociale.

"Sono molto attiva nel sociale, perché ho sempre pensato che gli altri siamo noi. Ad esempio, sempre con Alberto Mura, effettuammo la sfilata contro la bulimia e l'anoressia, mettendo in passerella solo modelle dalla piccola taglia 42, 44 e 46 anziché la 38.

Un messaggio di sensibilizzazione verso questo problema, ma anche un momento per raccogliere fondi. Ho partecipato anche alla sfilata per raccogliere fondi per l'A.D.M.O. (Associazione Donatori Midollo Osseo) nei pressi della Capitaneria di Porto Torres, ma anche una pesca di beneficenza il cui ricavato è stato devoluto per acquistare un defibrillatore. Mi sono inoltre adoperata per realizzare un calendario composto da mamme, idea fortemente voluta dalla giornalista Roberta Gallo. L'iniziativa consisteva nel far posare madri e figli, dove ciascuna famiglia rappresentava un mese dell'anno. In un altro caso, ho preso parte al progetto Impronte, nato a sostegno della lotta contro il cancro per la ricerca e prevenzione, ideato da me e sposato, ancora una volta, da Roberta Gallo.

Creai una collezione dando l'opportunità di sfilare a pazienti oncologiche e ricercatrici. L'obbiettivo e lo scopo del progetto era l'acquisto del macchinario di prevenzione oncologica che individua la lesione prima che diventi tumore, da donare alle Cliniche Universitarie, macchinario individuato dalla ricercatrice Rosa Maria Pascale, il cui ultimo step del progetto, la raccolta delle testimonianze si trova in un libro a cura di Roberta Gallo già in stampa".

Qual è il tuo tipo di modella?

"Diciamo che le modelle sarde sono le più veritiere. A parer mio hanno qualcosa in più, che forse fa parte della personalità. Ma anche del posto di cui viviamo, perché possiamo dire a gran voce di avere la fortuna di vivere un posto bellissimo come la Sardegna.

Sicuramente Dio quando ha pensato al paradiso, ha pensato alla nostra Isola."

Cosa è, per te, la moda?

"Come diceva Coco Chanel, la moda passa ma lo stile resta. Ultimamente, ad esempio, vedo cose inconcepibili. Perché quando alla Londra Fashion Week mostrano scuole di moda che presentano dei vestiti fatti a forma di canotti gonfiabili e queste donne sono viste in tal modo per dire che stanno rappresentando la mamma esasperata, beh, questo è sbagliato. Ma la moda è in continua trasformazione. Quando, tempo fa, incontravamo turisti con i sandali e calzettoni di spugna, li riconoscevamo perché erano tedeschi. Ma oggi, proprio quella importata dai tedeschi, è diventata una tendenza. Fortunatamente la moda di oggi non è dittatoriale, mentre negli anni settanta o ottanta, quando si usava il pantalone alla Celentano o a zampa di elefante, tutti dovevano avere il pantalone così.

Attualmente no, uno che ha un minimo di buon gusto può decidere autonomamente di indossare quel che vuole. Perché oggi veramente ti dicono di tutto e se tu segui loro, non hai personalità. Devi vestirti con ciò che ti appartiene".

Antonella Fini parla della sua carriera

Puoi dirti fortunata o quantomeno soddisfatta?

"Ho ancora tanta strada da fare. E non so se riuscirò a completarla. Mi ritengo sicuramente fortunata, soprattutto perché ho tre figli meravigliosi, Rosalia, Sara e Giuseppe di cui vado fiera ed orgogliosa. Ma sono anche contenta di quello che sono riuscita a fare. Poco, tanto o niente, non lo so. Questo lo devono valutare altri. Sono partita da zero con la mia macchina da cucire, con i tessuti comprati dalla mia amica carissima che aveva delle stoffe bellissime e ho fatto la prima collezione così.

Ma ho anche un grande difetto. Ogni ogni abito, ogni mia creazione, per me è come un figlio. Tengo tantissimo a quelle creazioni e ci sono degli abiti ad esempio che non ha mai venduto come quello ispirato alla sposa sarda. E' un pezzo di me, potrei farlo uguale, ma quello non lo venderei mai".

Quante ore lavora una stilista?

"Le ore non le ho mai contate, dico la verità. Generalmente il tempo lo gestisco io".

Sei un riferimento per molti. Tra questi, c'è qualcuno che dice 'voglio fare come Antonella'?

"C'è Marco Campus, di Sorso, che definisco uno stilista emergente. E' uno studente del liceo artistico di Sassari: lui non solo ha stima di me, ma gli piace il mio stile, benché lui ne abbia uno tutto suo".

Ci sono anche donne che ispirano il tuo agire?

"Il lavoro mi porta a raccontare la mia terra, a raccontare la donna. Penso alla più lungimirante, Eleonora d'Arborea, che attraverso l'istituzione della Carta de Logu, difese in maniera salda il ruolo femminile. Ma anche a Grazia Deledda. Una sognatrice, una donna che ai suoi tempi si è ribellò perché alle donne non era concesso lo studio. Persone che puntarono la loro esistenza sull'essere e non come avviene oggi, sull'apparire".

Perché hai scelto Porto Torres per le iniziative più importanti?

"Ho scelto Porto Torres perché sono riconoscente a questa Città. Posso dire di appartenere a due città, ed è come se fossi divisa in due. Da una parte nel mio cuore ho Sorso, chiaramente perché sono nata lì, dall'altra Porto Torres la adoro e non la non la cambierei con niente al mondo. Diciamo che mi sono fatta adottare dai turritani, e tanti pensano che sia proprio di Porto Torres. Qui sono nata professionalmente e per questo mi definiscono, da più parti, la “stilista turritana”. A Sorso, invece, mi riconobbero in un secondo momento. Effettuai due sfilate, una al Palazzo Baronale e l'altro nell'anfiteatro romano de la Billellera. Un'esperienza molto bella che ricordo ancora oggi con orgoglio".