Siamo a Como per incontrare l'autore del libro "Nessuno dimentica", lo scrittore Diego Bernardo. Un libro che si legge in modo fluido e scorrevole ma che impegna nella lettura per il contenuto impegnativo soprattutto per i concetti che si leggono tra le righe. Un racconto che fa pensare per la sua denuncia di un mondo nascosto ovvero quello vissuto dai reduci di guerra che camminano tra la gente comune portando dentro di sé il ricordo di un vissuto ingombrante. Ma lasciamo che sia l'autore a raccontare se stesso e ciò che vuole esprimere con il suo racconto.

Incontro con l'autore

Buongiorno Diego, prima di tutto grazie per essere qui con me per questa intervista. È un piacere interloquire con l'autore del libro “Nessuno dimentica”, una storia appassionante ma soprattutto molto significativa sotto l'aspetto umano.

Prima di parlare nello specifico del libro però vorrei conoscere meglio l'autore. Vuoi raccontarmi chi è Diego Bernardo, l'uomo e la sua vita presente e passata. Come nasce la passione per la scrittura e quanto racconti di te in questo racconto emozionante che tocca temi importanti come la vita militare, la guerra e anche i difficili rapporti tra genitori separati e figli.

Ma andiamo per ordine.

Chi è Diego Bernardo? Qual è la tua formazione scolastica e il tuo lavoro?

Ciao Barbara, grazie a te. Chi è Diego Bernardo? Questa domanda mi riporta la memoria alla scritta incisa sul del tempio di Apollo a Delfi. Il famoso “conosci te stesso” che è la chiave ancora oggi per una serenità interiore e davvero non saprei come cavarmela con due righe per risponderti. Diego B. sicuramente è un uomo come tanti ma non come tutti.

Un uomo che molti pensano di conoscere ma che veramente pochissimi conoscono. Con qualcosa da dire dopo tanto ascoltare, dopo tanto vissuto. E’ un papà affettuoso, un figlio ribelle, un marzialista, un parà della Folgore, uno scrittore, un atleta, un dislessico, un operatore shiatsu, un empatico, un operaio, un tecnico di laboratorio biomedico ma credo, per necessità di sintesi, di potermi definire un uomo grintoso.

La mia formazione non è stata per nulla leggera e nulla è andato liscio come doveva.

Ai miei tempi non solo non si parlava di dislessia ma neppure esisteva nell’immaginario comune dei professori. I dislessici normalmente erano quelli che dovevano concludere in fretta l’esperienza scolastica. E così è stato anche per me. Negli anni dell’adolescenza, delle scuole medie, ho avuto un professore, tra tanti buoni, uno orribile, che giurava di bocciarmi già al primo giorno dell’inizio del nuovo anno. Mi terrorizzava, mi umiliava e, anche se già severo di suo, con me lo era ancora di più. Non ho mai capito perché mi odiasse tanto ma essendo il prof. di lettere e storia e geografia ha potuto davvero farmi passare la voglia di andare a scuola.

Ritiratomi dagli studi sono andato a lavorare dapprima come operaio di carpenteria leggera e pesante e poi come meccanico industriale in una grande industria. Ripensare oggi agli anni che avevo e rivedermi negli anni che oggi ha mio figlio, ripensare a tutti quei pesi sollevati e alle ore lavorate in così tenera età mi riempie il cuore di tristezza. Poi è successo che la vita mi ha fatto incontrare persone straordinarie. Licenziatomi da quel posto dove arrivavo a fare anche dodici ore al giorno fui assunto in una grande industria come apprendista di supporto al meccanico industriale di quell’azienda che ancora oggi considero come le mie scuole superiori. Il lavoro era pesante ma stimolante e creativo.

Si costruivano e si riparavano le macchine che servivano agli operai di quell’azienda per lavorare. Fu quell’uomo buono, Ferruccio, che mi aiutò a credere in me stesso. A farmi riavvicinare ai Libri. Lui era un perito meccanico. Mi stimolava. Punzecchiava la mia creatività e dopo qualche annetto di apprendistato sotto la sua guida cominciai a diventare autonomo. A chiedere sempre più teoria per ampliare le mie conoscenze, per risolvere problemi che solo con la pratica non riuscivo a risolvere. Fu lui, passandomi i suoi libri di scuola da perito meccanico che mi ributtò sui banchi. La sera dopo il lavoro li divoravo, ci sbattevo la testa e da lì il passo fu breve. Tornai a scuola con una voglia enorme di imparare e nessuna paura.

Quindi il giorno lavoravo e la sera studiavo. Dovevo fare quello che i ragazzi facevano durante l’anno in metà tempo. Il lavoro di giorno mi stancava il corpo e la sera, lo studio, la testa. Così è cominciata la mia Odissea scolastica e la mia Odissea di vita. Mai una cosa sola. Lavoro e studio. Allenamenti e corsi di vario genere. Presi la maturità con indirizzo psicopedagogico. Mi buttai nello studio della medicina tradizionale cinese che ai tempi andava di moda come l’osteopatia oggi, e qui ricordo Luciano che mi insegnò la gentilezza. E poi l’università dove mi laureai in tecniche di laboratorio biomedico e poi un corso di perfezionamento in immunoematologia e medicina trasfusionale. L’ironia della sorte fu che quel prof.

orrendo che mi voleva far finire subito di studiare di contro invece fu il motivo per cui studiai di più e di tutto. Ma nulla sarebbe stato possibile senza un’altra grande scuola di vita che reputo la mia prima Università, la Folgore e la missione in Somalia.

Una vita non facile ma ricca di esperienze che hai saputo sfruttare nel migliore dei modi e che ti hanno portato ad essere l'uomo e il padre che sei oggi, di questo devi esserne orgoglioso. Ma come è nata la tua passione per la scrittura?

Qui c’è da aprire una piccola parentesi. Un dislessico non ha passione per la scrittura. La odia a prescindere. Se nello svolgimento dei tempi finivo due mezze pagine era perché scrivevo largo e perché nella traccia c’era scritto "almeno due mezze pagine".

Quindi mai avrei pensato di scrivere e l’averlo fatto è stato uno sforzo enorme ancora oggi ma anche per questa mia avventura ho avuto una persona straordinaria che mi ha dato coraggio. Margaret Mazzantini. Ai tempi lavoravo a Milano e facendo il pendolare avevo la possibilità di leggere molto. Mi imbattei in “Venuto al Mondo” di Margaret. Quel modo di scrivere, quell’empatia mi colpì profondamente. In un giorno di svago su internet provai a cercarla nel web. Trovai il suo sito ufficiale e le scrissi quanto ero rimasto stupito da quel romanzo. Dopo circa un mese, senza che me lo aspettassi, mi rispose. Felice di quella corrispondenza le mandai delle bozze, davvero piccoli pensieri che avevo scritto in alcune sere buie per pulirmi la testa.

Le piacquero molto e mi spronò a scriverne altri. Alla fine, mi chiese di costruirci intorno una storia e così nacque “Nessuno Dimentica”.

Cosa ti ha portato a scrivere questo particolare libro che definirei quasi un documentario, una denuncia sugli effetti che la guerra può avere sull'essere umano. Concordi su questa mia definizione?

Si concordo. Fu la morte di un mio fratello d’armi. Il suo gesto estremo mi squarciò l’anima. Mesi prima mi chiamò con la speranza di poterci rivedere. Le promesse corrono sulla lingua ma gli impegni ti rubano la vita. Io l’ho sempre visto a posteriori come un grido d’aiuto che non ho saputo interpretare. I miei ricordi poi e la difficoltà immensa che ho avuto per riambientarmi mi hanno spinto a scrivere quello che succede nella testa di chi torna ma non torna veramente.

Ho scritto sperando di unire tutti quelli che vivono queste esperienze sentendosi soli. Perché un soldato, un parà, vede tutto questo come una debolezza anche se lo star male avviene solo perché si ha un grande cuore.

Quindi sei un ex militare, e quanto di “Nessuno dimentica” riguarda la tua persona e la tua esperienza di vita?

Molto, troppo forse e questo si sposa benissimo con quello che ci veniva detto in addestramento. Non ci sarà mai un ex davanti al termine parà, un parà sarà sempre un parà ma questo lo si capisce solo quando si torna a casa.

Dopo il successo avuto con questo primo libro pensi di scriverne altri? Hai già qualche progetto in corso? Se vuoi anticipare qualcosa.

Sì, in realtà sto già scrivendo un altro libro.

Non voglio annunciarvi nulla se non che sarà scomodo e ruvido come “Nessuno dimentica”.

Personalmente non lo ritengo né scomodo ne ruvido, ma piuttosto utile a far comprendere alcuni stati d'animo che sono difficili da capire per coloro che non hanno vissuto esperienze di vita così sconvolgenti come può essere una missione in guerra e la perdita di un amico.

Ti ringrazio per la tua disponibilità e per questa interessante intervista.

Grazie a te e a coloro che vorranno leggere il mio libro ed esprimere la loro opinione in merito.

Allora arrivederci Diego, restiamo in attesa della pubblicazione del tuo nuovo libro per poterne parlare insieme.

Nel frattempo consiglio a tutti la lettura di “Nessuno dimentica” di Diego Bernardo, una storia che tocca le corde più profonde dell'anima aprendo le porte ad un mondo che ci circonda ogni giorno ma che in pochi conoscono.