È la storia dell'iPhone, anzi è la storia dell'azienda Apple... no, no, mi sbaglio ancora: è la storia di un uomo e dei suoi uomini. Steve Jobs ha fatto sempre di testa sua, cementando tanto odio personale quanta dipendenza e riconoscenza per aver distrutto le frontiere tecnologiche del sistema chiuso. Dieci anni dopo la Apple ritorna sul palco. Dieci anni dopo che Steve Jobs arrivò sulla semilina nera del Moscone Center di San Francisco con in mano uno strano oggetto rettangolare, dai bordi obliquamente smussati, nero display, contorno bianco.
Un telefono. Anzi. "A phone, an iPod, an internet communicator", dice Jobs. È più di un telefono, dice. È il primo telefono marchiato Apple.
Per il decennale, con l'uscita dell'iPhone 8 e altri gioiellini quali l'iPhone X come candelina di compleanno, Cook e compagnia bella hanno deciso di fare l'inaugurazione nello Steve Jobs Theater, un intero teatro dedicato al padre creatore, con mille poltrone di fine pelle da 14mila euro l'una, sfoggiate nell'Apple Park, vicino alla nuova sede del Cupertino.
Bill Gates, co-fondatore Microsoft, aveva detto che nessuna azienda informatica leader in una fase storica, lo rimane nella successiva. Lo aveva detto superando la Ibm nell'era dei pc, mentre nel contempo c'era l'avvento spaventoso e incontrollabile di internet.
E Steve Jobs avrebbe risposto che la Apple è sempre stata la leader numero uno: fin dall'epoca dei personal computer e del Macintosh, che aveva portato mouse e software (interfaccia grafica); fin da quando aveva dato il via alla musica digitale portatile con l'iPod e con iTunes; fino a reinventare tutto l'internet tascabile con l'iPhone.
Jobs pensava a cavalcare le aziende, a distruggere i ritmi, i tempi incombenti nell'imprenditorialità. Ma Jobs... Steve Jobs pensava a conquistare le masse: la sua era ed è una leadership culturale, perché chi compra l'iPhone, chi compra Apple compra un'idea. L'idea (un po' hipsteriana e quindi più attuale che mai) dell'unicità, della diversità.
È la rivincita dei nerd e degli outsider tecnologici, contro la piattezza della Samsung o della Lg o della principale avversaria Microsoft. Ora in effetti ad essere piatto è il mercato digitale, finendo col tutti copiano tutti e non avendo più confini precisi, forse a distinguersi la Cina. Forse.
Ma Jobs ha creato un design strategico, accattivante, diverso da tutti, un design che ora l'ha resa in parte schiava del suo stesso modello fino a quasi standardizzarsi- esattamente l'opposto della volontà del creatore. C'è davvero qualche innovazione sostanziale, adesso?
La verità è che l'azienda cambia, il cóte, il genio cambia quando cambia il leader. Ognuno dei successori dirigenti Apple ha un sentimento particolare, differente dall'origine jobsiana: Steve Ballmer vuole la vendita incontrastata sopra l'appeal del prodotto, Satya Nadella ama le app contenutistiche e tutte le richezze ingombranti nella memoria, esperto di server e di tool (devo nominare Cloud?
Dropbox?), Tim Cook pensa alla logicistica, agli accordi, allo stoccaggio, alla manifattura (il lavoro sporco detto "supplychain" o anche "pulire i cessi").
Sono un team di esperti, geek smanettoni fino al midollo, rispetto a Jobs. Se non che il caro Steve era un filosofo e aveva da solo una visione d'insieme che nessuno dello staff riusciva ad avere. Né allora né ora. Tanto incasinato e deludente nella vita privata, quanto chiaro e preciso negli affari, anche se ignorante nel suo stesso campo d'impresa. Ignorantissimo se paragonato al team Cook. Per ora la Apple non sa fare che la custode della sua eredità. Rubia, copia e adatta ai clienti amanti del marchio della mela. La verità? Funziona per il mercato. Almeno finché non arriverà la nuova rivoluzione.