Teramo, anno 2006: una ragazza gira nelle 72 ore successive a un rapporto sessuale, in cui si era rotto il profilattico del compagno, per varie guardie mediche in cerca della pillola del giorno dopo. Questa le viene negata dai vari medici. Nel 2010 decide di fare causa per creare un precedente, ma ora, dopo ben sei anni, i giudici sono arrivati alla conclusione di non accettare la richiesta e, quindi, di non risarcirla per i vari danni morali ed economici. Si tratta di una sentenza che intreccia i mutamenti della società. Trasformazioni che riempiono di nuove aspettative il diritto esercitato nelle aule di giustizia.
Il ricorso della donna
Il fatto risale al 2006 nella città di Teramo: dopo un rapporto sessuale, in cui si verificò la rottura del profilattico del partner, la donna girò per 72 ore in cerca della pillola del giorno dopo. Andò in giro per varie guardie mediche e pronti soccorsi della città abruzzese in cerca di un medico che le rilasciasse l'anticoncezionale. "I medici mi negarono il farmaco", raccontò. "Nessun dottore mi disse chiaramente di essere contrario al rilascio di tale pillola, ma si tirarono tutti indietro", continuò. Che poi la pillola del giorno dopo è un contraccettivo e non un farmaco utile ad abortire. Intanto, l'Asl (Azienda Sanitaria Locale) motivò il suo rifiuto di lasciarle la pillola sostenendo che allora il soggetto non volle sottoporsi ad una visita ginecologica.
"Eppure lo stesso Oms conferma che non è obbligatoria tale visita in questi casi", afferma l'avvocato Felice Franchi, che ha assistito la donna in questa causa descritta come ‘infinita’. Si tratta di un processo unico nel suo genere che si è concluso a discapito della donna oggi 44enne.
Il motivo della denuncia
"Ho fatto questa denuncia - spiegava l'ormai mamma in un'intervista del 2010 a Sky Tg24 - per dar vita ad un nuovo precedente che assicuri maggiore tutela per le signore e, particolarmente, signorine che si trovano nella mia stessa situazione.
E' molto frequente che una ragazza affronti il trauma dell'aborto solo perché vari medici le hanno negato il farmaco anticoncezionale", continuò. Infatti, la donna, dopo che non le fu somministrato il farmaco, decise di portare avanti la Gravidanza e, oltre alla maternità non voluta, dovette affrontare il parto da sola in quanto l'ex compagno scappò via, perché non voleva che tenesse il bambino.
La decisione del Tribunale
Dopo sei anni, arriva la sentenza del Tribunale di Teramo sul caso della donna che aveva richiesto 500 mila euro di risarcimento danni all'Asl che, nel 2006, le negò la pillola del giorno dopo. "E' impossibile stabilire un attendibile grado di probabilità che la gravidanza di tale vicenda possa essere avvenuta proprio da quel rapporto sessuale", evidenzia oggi il giudice Mauro Pacifico nella sentenza. "La richiedente, inoltre, non ha dichiarato in cosa consisterebbe il danno patrimoniale e non patrimoniale subito. Ha solo fatto riferimento a categorie astratte del danno morale, biologico e patrimoniale", scrive il Tribunale.
A tale sentenza, immediatamente, replica l'avvocato Franchi dicendo: "Eppure, da un lato ci è stata riconosciuta la compatibilità della concezione del bambino, dall'altro si giunge a conclusioni opposte motivate dal fatto che manca la cartella clinica dov'è nato il bambino e dov'è stata ricoverata la donna".
"In merito ai danni - ha continuato - il soggetto in questione ha dovuto affrontare da sola sia la gravidanza che il parto in quanto il compagno di allora non ha riconosciuto il bambino. E queste non rappresentano dei danni materiali subiti?", ha affermato. "La creatura dovrà essere cresciuta da un genitore solo e, come se non bastasse, anche disoccupato. Questa è una certificazione più che valida di un enorme danno economico", conclude l'avvocato.