"Ma possibile che per comprare queste quattro cavolate ho speso 50 euro?" Pensiero comune a molti di noi, che guardiamo attentamente lo scontrino, mentre ci avviamo verso l'uscita del supermercato, con le buste in mano. Riguardo a questa riflessione il Sole 24 ore di ieri ci fornisce un interessante spunto: analizzando un paniere di 20 beni di prima necessità (dal caffè allo zucchero, dall'olio al pane), viene fornito un confronto di quanto costerebbe la stessa identica spesa nelle varie città italiane. La regina della classifica è Milano, anche se non in termini di media.

"il capoluogo meneghino colleziona due record: qui una famiglia può sborsare in un anno fino a 8.163 euro se acquista i prodotti al top di gamma (prezzi massimi), ma se è a caccia di convenienza e di offerte, può scendere invece tantissimo, fino a 2.139 euro, livello minimo su scala nazionale." Risultato che probabilmente riflette quella che è la varietà di super ed ipermercati che ci sono ad oggi nel capoluogo lombardo.

Facendo una media globale tra prodotti top di gamma, ed offerte, il podio è un trittico emiliano: Rimini-Ferrara e Ravenna, dove mediamente si spendono quasi 4.500 euro all'anno per il suddetto paniere di beni. Possiamo tuttavia definire quest'analisi davvero soddisfacente per calcolare il peso della spesa sulle tasche degli italiani?

La risposta è, a mio avviso, no. A tali informazioni dobbiamo aggiungerne quanto meno altre due: il Pil pro capite annuo ed il residuo fiscale. Il costo della spesa non può che essere paragonato infatti alla Ricchezza di un individuo, che sinteticamente possiamo calcolare con il Pil procapite (lordo). Se tutte le regioni fossero degli stati indipendenti questo valore sintetico potrebbe anche essere considerato assoluto.

Tuttavia in uno stato centralista come l'italia, diventa rilevante calcolare anche il residuo fiscale, ossia la differenza tra quanto viene prelevato in tasse e quanto viene restituito in servizi pubblici.

Di seguito troviamo una tabella da me elaborata e basata su dati Istat tra il 2012 ed il 2014, la quale esprime proprio la ricchezza pro capite italiana, regione per regione, come intesa di sopra.

Possiamo notare quanta sia la differenza tra i paesi del centro-nord rispetto al sud e le isole, soprattutto in termini di Pil. Più variegata è invece la situazione per quel che concerne il residuo fiscale, con regioni come la Val d'Aosta o la Liguria che vanno in contro tendenza. Ma torniamo a noi, e cerchiamo di vedere a questo punto quanto pesa il carrello sulle nostre tasche!

Prendendo tutti i dati del Sole 24 ore, che ha calcolato il costo medio annuo della spesa in quasi 60 province italiane e rielaborandoli regione per regione, possiamo andare a vedere qual è il residuo che ci rimane in tasca dopo essere stati al supermercato, e la sua incidenza sul nostro reddito:

Da quest'altra elaborazione possiamo vedere come Rimini, e l'Emilia Romagna in particolare, regina del carrello pesante in termini assoluti, sia in realtà una delle migliori regioni, quando si considera l'incidenza della spesa sul reddito.

Anche se spesso il costo del carrello è più basso in termini assoluti al sud ed alle isole, l'incidenza sugli averi della spesa per beni di prima necessita è sopra il 20%, con punte anche del 30% in Calabria. Nel tacco del nostro stivale un euro su tre se ne va al supermercato.

Ultima considerazione: ili costo finale della spesa non ha una forbice così ampia lungo la nostra penisola. Si va dai circa 3000 euro del Molise ai 4255 dell'Emilia Romagna. 100 euro al mese; una differenza, tutto sommato, più che accettabile. Dunque il grande divario tra Nord e Sud è imponibile in tutto e per tutto alle differenze di reddito e di residuo fiscale.