Nel 2015 il PIL del Mezzogiorno è cresciuto dell' 1%, un incremento superiore di 0,3 punti rispetto al resto del Paese (0,7%). Il PIL non misura la felicità, come ricordava Bob Kennedy, ma aiuta a comprendere le tendenze e incoraggia a credere nella possibilità di avviare uno sviluppo anche nelle aree più depresse della Penisola.

Il Sud fa un passo in avanti, non come potrebbe/dovrebbe, non come alcune aree dell'UE partite da condizioni di ulteriore svantaggio, ma qualcosa si muove. Questo quanto spiega il Rapporto SVIMEZ 2016, presentato nei giorni scorsi a Roma.

Il PIL cresce, in forte discontinuità con i dati raccolti dal 2008 al 2015, soprattutto grazie ad alcune condizioni "straordinarie" registrate lo scorso anno. Si spera che divengano ordinarie, ma per ora sono da considerarsi come positive anomalie nella travagliata storia recente del Sud. Il 2015 ha infatti registrato un'annata agraria particolarmente favorevole e un'impennata nel settore del turismo, a discapito delle aree nordafricane interessate dal fenomeno terroristico e della Grecia, Paese manifesto della crisi.

Dopo circa un decennio di decrescita infelice nel Mezzogiorno aumentano le esportazioni e crescono anche, seppur con evidenti differenziazioni da regione a regione, gli investimenti.

Questi sono aumentati soprattutto nel settore delle costruzioni e in quello agricolo: il boom dell'occupazione in agricoltura ha interessato l'Italia soprattutto grazie alle opportunità create al Sud.

Chi cresce di più?

Tra le regioni meridionali è la Basilicata a crescere di più (+5,5%), grazie al contributo del c.d. settore automotive e alla spinta del volano "Matera 2019".

Crescono di meno Sicilia e Calabria, quest'ultima, in particolare, veste i panni della Cenerentola d'Italia, mantenendo il PIL pro capite più basso del Paese (16.659 euro l'anno contro i 37.561 del Trentino). Il reddito pro capite calabrese, secondo quanto rileva la Svimez, è pari al 61,8% di quello medio dell'Italia. La Calabria, in fin dei conti, rappresenta una summa delle difficoltà del Sud: una regione che ha sprecato tanto, non ha saputo utilizzare i fondi europei, carente nel settore pubblico e in quello privato, con una crisi di investimenti senza precedenti e una presenza fortissima della criminalità organizzata.

Lavorare si può

Grazie alle misure di decontribuzione per le assunzioni a "tutele crescenti", anche il mercato del lavoro al Sud registra timidi segnali positivi, con una più marcata affermazione delle professioni a bassa qualificazione.

In crisi profonda le professioni cognitive altamente qualificate (-18,7% negli anni tra il 2008 e il 2015) e le possibilità di impiego per i giovani: il Sud si colloca infatti all'ultimo posto della classifica europea relativa al lavoro per i giovani dai 15 ai 34 anni, dietro Spagna e Grecia.

I ragazzi continuano a fuggire dalle regioni meridionali: tra il 2002 e il 2014 sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord del Paese un milione e seicentomila persone. La vera sfida del futuro sarà quella di provare a farli "tornare a casa", cercando di offrire a ciascuno una decorosa e allettante opportunità lavorativa.