Tra gennaio e luglio del 2017 sono stati sottoscritti oltre 1 milione di rapporti di lavoro in più rispetto all’anno precedente. Di questi, però, solo 27.218 sono contratti a tempo indeterminato (sempre al netto dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, non più in vigore). Appena il 2,5% del totale. È questo il dato più rilevante contenuto nell’ultimo rapporto dell’Inps che, in pratica, certifica il fallimento del Jobs Act varato dal governo di Matteo Renzi. Se a questi numeri preoccupanti si aggiunge il contenuto del Bollettino della Banca Centrale Europea, stilato ieri 21 settembre, il quadro dei problemi di cui soffre l’economia del nostro paese è completo.

Secondo la Bce, infatti, la riduzione del tasso di disoccupazione in Italia a partire dal 2014 non è stata “significativa”.

I dati Inps che affossano il Jobs Act

Ma perché solo il 2,5% dei nuovi contratti sono a tempo indeterminato, nonostante l’eliminazione dell’articolo 18 introdotta con il varo del Jobs Act? Una delle motivazioni, spiega l’Inps, potrebbe risiedere nel fatto che le imprese di casa nostra attendono come manna dal cielo l’approvazione della legge di Stabilità in cui dovrebbero essere previsti nuovi sgravi per le imprese che assumono: fino al 50% di bonus se si dà lavoro stabile a giovani fino ai 29 o 32 anni (soglia ancora da stabilire). Detto questo, però, i numeri del Lavoro in Italia sono impietosi.

Su circa 1 milione e 70 mila nuovi contratti sottoscritti nei primi 7 mesi del 2017, solo 27.218, come detto sopra, sono a tempo indeterminato. Il resto è diviso tra contratti a tempo determinato (719.666), contratti di lavoro stagionale (283.825) e contratti di apprendistato (42.748).

Numeri che assumono un significato ancora più drammatico se si pensa che, sempre in riferimento ai primi 7 mesi del 2017, i contratti a tempo indeterminato cessati superano di quasi 200 mila unità quelli attivati.

Al contrario, le attivazioni di contratti a termine raggiungono la stratosferica cifra di 2.781.208 a fronte di 1.895.208 cessazioni. Una differenza di quasi 900 mila contratti. Dopo l’eliminazione dei voucher, poi, è letteralmente esploso il numero di contratti di lavoro a chiamata e di quelli in somministrazione, rispettivamente più 124,7% e più 20,4%.

La Bce rimanda l’Italia

Se a questi drammatici numeri si aggiunge il giudizio contenuto nel Bollettino economico della Bce governata dall’italiano Mario Draghi, pubblicato il 21 settembre, ecco che il fallimento del Jobs Act viene certificato senza ombra di dubbio. Secondo Francoforte, infatti, l’Italia non ha soddisfatto la richiesta di ridurre il tasso di disoccupazione di almeno 3 punti in tre anni (dal 2014 è sceso solo di un punto, dal 12,7% all’11,7%). Insomma, una riduzione ritenuta “non significativa”.