Secondo una recente elaborazione dell'Institute International Finance, il livello del debito pubblico mondiale ha raggiunto l'esorbitante cifra di 237 mila miliardi di dollari. O, almeno, questa è la fotografia della situazione al 31 dicembre 2017. Dato, infatti, che sono trascorsi quattro mesi da questa rilevazione è molto probabile che la cifra sia molto più alta. Ma già così rappresenta un valore di circa tre volte superiore alla misura del Pil mondiale, cioè la ricchezza totale prodotta da tutto il pianeta.
Per usare un'altra scala di grandezza e comprendere la portata del rischio a cui potremmo andare incontro, tale valore si trova al di sotto del picco massimo mai raggiunto dal debito mondiale di circa il 4 per cento.
Questo fu registrato intorno alla metà del 2006 a poco più di un anno dallo scoppio della grande crisi economica e finanziaria iniziata con il fallimento di Lehman Brothers. Ma se andiamo ad analizzare i dati più nel dettaglio scopriamo delle vere e proprie sorprese.
I Paesi maggiormente indebitati
Dal 2006 ad oggi, sempre secondo l'elaborazione citata sopra, il debito mondiale dovrebbe essere salito di circa 70 mila miliardi. Ma se si analizza la situazione per aree geografiche e singoli Paesi, si scopre che a detenere il maggior stock di debito sono Stati come il Lussemburgo, la Francia, la Svizzera o il Belgio ma anche la Norvegia e la Svezia per quanto riguarda la "vecchia" Europa. Mentre dall'altro lato dell'Atlantico non se la passa meglio il Canada.
In tutti questi Paesi le famiglie presentano un indebitamento superiore al 50% del Pil nazionale. Mentre, e questa è la sorpresa, le famiglie italiane o irlandesi hanno uno stock di indebitamento inferiore al 50% del Pil nazionale. Anche le famiglie tedesche avrebbero un tasso di indebitamento superiore a quello delle italiane e pari a circa il 53% del loro Pil nazionale.
Le conseguenze sul medio periodo
Ovviamente, quello che tutti si aspettano nel prossimo futuro, anche in base alle dichiarazioni di Mario Draghi è una fase rialzista dei tassi d'interesse. E questo avrà, necessariamente, un impatto diretto sullo stock di debito delle famiglie europee e, quindi, sui loro bilanci. Dall'elaborazione effettuata è possibile stimare che un aumento dei tassi di circa l'1% implicherebbe, per le famiglie italiane, un aggravio di circa 7 miliardi di euro l'anno che andrebbero a incidere, nella maggior parte dei casi, su chi ha sottoscritto prestiti o mutui a tasso variabile.
Mentre per coloro che hanno stipulato accordi di mutuo a tasso fisso non cambierebbe nulla.
Quello che è chiaro, dai dati elaborati, è che la prossima stretta sui tassi avrà conseguenze ben più pesanti e cruente sulle famiglie dei cosiddetti Paesi "core" dell'Unione Europea. Mentre, i bistrattati Paesi periferici se la passerebbero molto meglio, come abbiamo visto. E questo anche grazie a un elevato tasso di ricchezza privata, soprattutto per quanto riguarda l'Italia. Infine, per completare il quadro va sottolineato che una fase rialzista dei tassi d'interesse favorirebbe il ritorno alla crescita di bond societari e obbligazioni, come anche delle remunerazioni dei conti correnti in Italia. Da questo punto di vista, un ipotetico rialzo dei tassi di circa l'1% porterebbe nelle tasche dei risparmiatori italiani quasi quattro miliardi di euro in più all'anno.