La partita dello spread, in questi giorni in aumento a causa dell’incertezza politica, e il suo legame coi costi sulla vita di tutti i giorni, passa attraverso il modo in cui aziende e banche si finanziano per mandare avanti le rispettive ‘baracche’. L’equazione, per semplificare, è la seguente: più aumenta lo spread, più c’è il rischio che gli istituti di credito si ‘rifacciano’ delle perdite sulle spalle dei proprio clienti (gente comune e imprese).

Un binario di fianco al quale ne scorre un altro parallelo e non meno pericoloso: quello dei conti pubblici.

All’esplodere dello spread, infatti, lo stato per rimettere i conti in ordine potrebbe essere costretto a pescare nelle tasche dei cittadini. Lo spiega bene in un’intervista apparsa sul Fatto Quotidiano il professor Francesco Daveri, docente alla SDA Bocconi di Milano. Gira e rigira, insomma, le conseguenze peggiori delle turbolenze sui mercati vanno spesso e volentieri a ricadere sulle spalle dei contribuenti. E i meccanismi che innescano questo ‘giro di vite’ sono complicati e interconnessi tra loro.

Gli effetti dell'aumento dello spread sull’economia reale

Se sale lo spread, innanzitutto, si verifica un aumento del costo per finanziarsi in capo ad aziende ed istituti di credito. Con effetto a cascata sui privati.

La spada di Damocle? Quando imprese e banche vanno in cerca di finanziamenti in una situazione di turbolenza dovuta allo spread, queste sono quasi costrette ad aumentare i tassi di interesse a cui offrono le loro obbligazioni.

Quindi, per collegarci alla vita reale, se un salumificio industriale chiede dei soldi alla propria banca di fiducia per comprare altri macchinari, l’imprenditore potrà anche ottenerlo, ma pagando più interessi sulla cifra ricevuta.

Lo stesso avviene per gli istituti di credito a caccia di ‘aiuti’ sul mercato interbancario. Da qui il motivo per cui gli investitori, in una situazione come quella odierna, decidono di disfarsi delle azioni degli istituti di credito italiani. L’effetto lo possiamo vedere durante le finestre dei telegiornali dedicate alla borsa, quando i cronisti iniziano ad elencare una sfilza di ‘meno virgola’.

Il problema dei titoli di Stato in pancia alle banche

Tutte le banche, comprese le nostrane, hanno nelle loro pance una gran quantità di titoli pubblici. Quindi, se lo spread sale (ovvero sale la differenza del valore tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi, considerati i più solidi), aumenta la percezione del rischio di un default del paese. Di conseguenza Bot-Btp-Cct diminuiscono di valore. A questo punto, gli istituti di credito potrebbero scaricare sui propri clienti l’aggravio di costi: sia attraverso un aumento dei mutui, che dei costi di amministrazione (ad esempio, le odiose ‘spese di gestione’ dei conti correnti).

Capitolo conti pubblici: lo spread, lo stato e le tasche dei cittadini

Qui l’impatto, come delucidato sempre dal Fatto Quotidiano, non è immediato. Ma questo non significa che sia meno drammatico. Due le fasi che possono innescarsi ad un aumento sconsiderato dello spread. In primis, i costi di rifinanziamento del debito in scadenza sulle casse pubbliche. Di conseguenza, e arriviamo alla seconda, quando lo stato dovrà stilare il bilancio pubblico vedrà lievitare le spese alla voce ‘interessi’.

Un governo, a questo punto, per far quadrare i conti, ha soltanto tre strade: aumentare le tasse, coprire attraverso il deficit (ossia destinare più entrate in questo senso), tagliare le spese. Va da sé che in ogni caso, il cittadino non ne esce benissimo.

Per capire ancora meglio, Daveri utilizza un esempio illuminante. Poniamo che lo spread aumenti di 100 punti. Ebbene, questo comporterà, su un rimborso di 350 miliardi di debito pubblico su 12 mesi, un aumento di spesa di 3,5 miliardi di euro per lo Stato italiano. A cui vanno ad aggiungersi, ogni 6 o 7 anni, un’altra ventina di miliardi. Dunque, se l’aumento dello spread fosse di 300 punti base, tutti questi calcoli andrebbero moltiplicati per tre. Su 10 anni circa, farebbero oltre 60 miliardi in più per le casse pubbliche.

Scenari: male, ma mai come la Grecia

Tutto questo, però, secondo il professore, non significa affatto per l’Italia una possibile ‘Grecia bis’. Più che altro, il rischio maggiore sta nell’atteggiamento delle banche: l’esplodere dello spread e gli effetti sopra descritti potrebbero invece portare gli istituti a chiudere i rubinetti delle linee di credito. Ossia, meno prestiti a imprese e famiglie. Con tutte le conseguenze ‘sensibili’ del caso sul Prodotto Interno Lordo del paese.