Nelle ultime ore è scoppiato un "caso Ceta". Luigi Di Maio, vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, in occasione dell'assemblea nazionale della Coldiretti, ha affermato che non intende ratificare l'accordo commerciale fra Unione Europea e Canada, aggiungendo che i funzionari che continueranno a difendere all'estero l'intesa economica, verranno prontamente rimossi dall'incarico.

Queste affermazioni hanno immediatamente innalzato un polverone. Se da una parte Roberto Moncalvo (presidente di Coldiretti) si è detto contrario al Ceta, dall'altra Vincenzo Boccia (presidente di Confindustria) lo ha approvato.

Il Ceta

Il Comprehensive Economic and Trade Agreement - meglio noto come Ceta - è un accordo commerciale tra Europa e Canada; per le sue caratteristiche, vede condiviso il potere tra l'UE e le diverse capitali. Ciò significa che, sebbene sia già stato approvato dal Consiglio europeo e, nel febbraio del 2017, dall'Europarlamento, è necessario che gli altri Stati membri lo ratifichino, con i vari parlamenti nazionali che prossimamente dovranno pronunciarsi in materia. Qualora dovesse essere dato il via libera alla ratifica, diventerebbe definitivo l'azzeramento dei dazi e dei vincoli agli scambi previsti.

In attesa che le diverse assemblee legislative decidano se esercitare o meno il diritto di veto sull'accordo, canadesi ed europei hanno pensato di fare un passo in avanti e, dallo scorso settembre, hanno eliminato (ovviamente in via provvisoria) il 98% dei dazi e dei vincoli alle vendite dei prodotti scambiati.

Se uno dei 28 Paesi della UE (ricordiamo che Londra non ha voce in capitolo) si rifiutasse di approvare l'accordo, si ritornerebbe allo scenario commerciale conosciuto prima di settembre 2017.

Grandi benefici per il made in Italy

Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, ha affermato, a margine della Graduation Ceremony del corso in Family Business Management della Luiss Business School, che chiudere il Ceta sarebbe un grave errore: "perché siamo un Paese ad alta vocazione all'export e attraverso l'export creiamo ricchezza".

Secondo l'analisi di Federico Fubini, giornalista del "Corriere della Sera", l'Italia ha già tratto grandi benefici dall'entrata in vigore anticipata del Ceta: in questi mesi, infatti, le esportazioni in Canada del made in Italy hanno avuto un'impennata dell'8% rispetto all'anno precedente. Se la tendenza si confermasse, il fatturato annuo delle imprese italiane potrebbe salire di 400 milioni di euro, e si potrebbero avere almeno 8.000 posti di lavoro in più.

Questo effetto positivo era più che prevedibile: le aziende nostrane, infatti, vendono nell'America del Nord per circa 5 miliardi di euro, portando bilateralmente un surplus commerciale di più di 3 miliardi di euro. Con l'entrata in vigore provvisoria del Ceta, questa posizione si è di fatto rafforzata e si è tradotta, ad esempio, nella sparizione del 9% (circa 1 miliardo di euro) dei dazi sull'export di macchinari ed equipaggiamenti elettrici, a cui si è aggiunta anche una decisa semplificazione delle procedure burocratiche. Anche il settore della moda, quello delle auto, delle ceramiche e dei costruttori navali (solo per citarne alcuni) ne stanno beneficiando.

Le critiche

Il Ceta, però non piace a tutti.

L'associazione degli agricoltori italiani guidata da Roberto Moncalvo, ad esempio, si è sempre schierata contro quest'accordo economico.

Nonostante il governo di Ottawa abbia messo sotto tutela 143 indicazioni geografiche europee (tra cui pecorini, fontina, taleggio, mozzarella di bufala, grana padano, gorgonzola ed altre eccellenze, molte delle quali finora poco riconosciute), secondo la Coldiretti questo non è sufficiente, con il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Gian Marco Centinaio, che ritiene sia stata scelta un'impostazione troppo incline alla globalizzazione, che comporterebbe il rischio di lasciare indietro diversi prodotti di qualità italiani.

A chi ha fatto notare che, ad esempio, il nostro prosciutto di Parma otterrà tutele fino a poco tempo fa impensabili, la Coldiretti ha ribattuto che, in fondo, la difesa dei nomi di origine non è blindata, con i canadesi che andranno avanti a proporre il "parmesan".

Gli operatori del settore agricolo hanno anche criticato il fatto che il Canada possa vendere ancora il proprio grano duro ai produttori italiani di pasta, senza tener conto che la nostra produzione nazionale arriva a coprire solo i 2/3 del fabbisogno dei pastai. Meno rigida, invece, la posizione di Cia-Agricoltori Italiani e di Confagricoltura che giudicano l'accordo "perfettibile".