Nella sezione Leader dell'Economist in edicola da questa mattina è presente un articolo di fondo sulle tensioni tra il governo italiano e la Commissione Europea, che potrebbero costituire un problema rilevante per l'intera Unione Europea. Lo scorso 8 luglio, i 19 ministri delle finanze della zona euro hanno appoggiato la decisione della Commissione Europea di non avviare una procedura d'infrazione per debito eccessivo nei confronti dell'Italia. La correzione di circa 40 punti base (da 2,4% a 2%) nel valore del rapporto tra deficit pubblico e Pil è stata quindi ritenuta sufficiente, per il momento, ad evitare le sanzioni contro il nostro paese.
Occorre tuttavia rilevare che permangono rilevanti squilibri nelle finanze pubbliche italiane. Nel 2020 è plausibile che il rapporto deficit/Pil possa superare la soglia del 3% previsto dai trattati, mentre il debito pubblico rimane molto elevato a fronte di una crescita del PIL che rimane molto contenuta. Per risolvere il problema in modo definitivo è necessario che il nostro paese ponga in essere una serie di riforme strutturali, come da lungo tempo raccomandato da tutti gli osservatori indipendenti.
Le fragilità del sistema economico
Come correttamente riportato nell'editoriale dell'Economist, da quando è stato introdotto l'euro, oltre 20 anni fa, la crescita dell'economia italiana è stata inferiore a quella degli altri paesi: in media i cittadini di Germania, Francia e Spagna hanno visto crescere il proprio reddito procapite di un quinto, mentre nell'Europa orientale i redditi sono più che raddoppiati in termini reali.
In Italia invece siamo sostanzialmente rimasti a livelli precedenti all'introduzione della moneta unica.
A ben guardare, molte delle ragioni delle scarsa crescita in Italia risalgono a molto prima dell'euro. Dalla lentezza del sistema giudiziario alla burocrazia soffocante il quadro istituzionale si presenta avverso all'avvio di nuove attività imprenditoriali e particolarmente penalizzante per quelle già in essere.
A questi handicap vanno poi aggiunti la scarsa concorrenza e la presenza ingombrante dello stato in numerosi segmenti di attività economica e la contrattazione salariale collettiva, su base nazionale che porta a retribuzioni formalmente troppo alte per le aree meno ricche del paese, dove è diffuso il lavoro in nero.
Le riforme strutturali necessarie
A fronte degli squilibri che caratterizzano il sistema economico Italiano è miope e riduttivo che la dialettica tra Roma e Bruxelles si concentri su qualche frazione di punto percentuale che non risolve i problemi strutturali e rinvia la discussione alla prossima occasione in cui la Commissione dovrà esaminare le manovre di bilancio del nostro paese.
Per essere davvero costruttivo, il negoziato dovrebbe basarsi sulla ferma richiesta di riforme strutturali, che risolvano i problemi italiani in modo definitivo e, prevedendo a fronte delle riforme dei margini di flessibilità in tema di spesa pubblica (ovviamente condizionati alla realizzazione degli impegni presi) in modo da abbinare un alleggerimento fiscale al percorso di correzione degli squilibri macroeconomici.
L'editoriale dell'Economist si conclude auspicando quindi un compromesso che possa interrompere il circolo vizioso per il quale il malcontento in Italia alimenta il consenso verso i partiti populisti che si oppongono al percorso di riforma necessario al paese per tornare a crescere.