Per la serie BlastingTalks intervistiamo il presidente di Aicel Andrea Spedale. Aicel (Associazione italiana commercio elettronico) è l’unica associazione di categoria dell’e-commerce. È attiva dal 2005 e nasce formalmente come associazione nel 2007 per iniziativa di alcuni commercianti digitali. Oggi annovera tra i suoi associati più di 1.200 aziende e oltre 1.050 negozi.
Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.
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Com’è nata Aicel e quali impegni ha nei confronti degli associati?
La storia di Aicel segue il tipico sviluppo del web. Come di consuetudine in questo ambito, Aicel è nata dal basso. Torniamo indietro di circa 20 anni e in quel periodo in Italia l’e-commerce era agli inizi. Appena laureato ho pensato di portare la mia azienda online, ponendomi le tipiche domande del caso. Come si affronta dal punto di vista normativo il commercio elettronico? All’epoca non c’era il codice del consumo e navigare in internet significava più che altro uno scambio di messaggi via email, chat, gruppi o forum. Quindi i protagonisti erano i cosiddetti “smanettoni" o “nerd”.
Siamo partiti in quattro amici, cercando di esplorare quanto stava avvenendo con la partenza della vendita online. E in pochissimo tempo, con l’apertura del nostro forum siamo diventati un centinaio di persone.
Quindi come si è sviluppata l’associazione?
Da questo primo gruppo di persone è nato il prototipo dell’associazione, allargandosi sempre di più.
Nel 2007 è cresciuta l’esigenza di doverci strutturare. Durante lo stesso periodo sono arrivati i nuovi regolamenti dettati dall'evoluzione dell’e-commerce. Ci siamo dati la forma dell’associazione perché era chiaro fin da subito che c’era l’esigenza di lavorare pro merchant. Quindi abbiamo sviluppato un’associazione di categoria pura, con obiettivi ben specifici volti a sostenere l’attività di chi vende online.
Può fare degli esempi pratici?
Da subito abbiamo iniziato a ragionare anche dal punto di vista etico, perché usando una metafora erano gli anni del “far west”. Oggi i consumatori iniziano a conoscere le regole di base e le associazioni sono attive. All’epoca c’era una grande mancanza d'informazioni. L’associazione nasceva già con un codice etico. Prevedeva norme di comportamento che solo dopo sarebbero state riprese nella revisione del codice del consumo. Ad esempio l’obbligo di pubblicare un numero di telefono dove il consumatore possa ricevere assistenza.
Quali sono i presupposti di base del vostro codice etico?
Siamo sempre partiti da una semplice considerazione: se l’esperienza di acquisto è positiva il consumatore la ripete volentieri anche altrove, a beneficio di tutto il settore.
Se è negativa, il consumatore non si fiderà più dell’e-commerce. Il primo convegno che abbiamo fatto era quindi orientato su come conquistare la fiducia dei consumatori. Ci siamo subito basati su quattro pilastri integrati, ovvero la formazione, l’informazione, il dialogo (anche con le istituzioni) e il sostegno vero e proprio.
Quali sono le attività che proponete per sostenere lo sviluppo dell’e-commerce e del settore digitale in Italia?
Abbiamo creato la certificazione SonoSicuro che non è un semplice bollino di riconoscimento. Presenta sette macro aree di controllo. Il socio prima aderisce al codice etico e solo a quel punto può chiedere di procedere con la verifica del negozio. Deve firmare una domanda per l’assunzione di responsabilità, dopodiché i nostri avvocati, commercialisti e tecnici che prendono in carico la richiesta effettuano le verifiche.
Entrano nel negozio come se fossero consumatori ed eseguono circa 120 controlli, per andare a vedere che l’e-commerce sia conforme alle norme minime di legge previste. Ci basiamo sul codice civile, sul codice del consumo e sul nostro codice etico. Quando tutto questo lavoro viene eseguito rilasciamo un report impostato sulle procedure del modello di riferimento ISO 9001. Abbiamo al nostro interno 1200 associati, 1050 negozi e 350 certificati attivi. Nel momento in cui non certifichiamo l’associato, produciamo comunque un report e spieghiamo come fare per allinearsi. Ma seguiamo i soci anche sull’accesso ai bandi, dove generalmente non vengono assistiti da nessuno. Diamo supporto per agevolazioni e altre opportunità.
Oltre alla consulenza legale e amministrativa.
Dal vostro punto di osservazione, quali aggiornamenti normativi ritenete necessari per poter agevolare il passaggio del paese al digitale?
In questo momento a livello europeo c’è molto in corso di sviluppo per il digital market. Ci sono una serie di iniziative che si orientano a creare questo mercato digitale, quindi a monte è essenziale la presenza di un sistema condiviso tra i diversi Paesi. Le norme oggi già ci sono, quest’anno in Italia scade il primo piano triennale della digitalizzazione (il piano triennale per la digitalizzazione è in Italia non EU). Ma non è tanto dal punto di vista normativo che dobbiamo intervenire, perché troppe norme tendono a essere controproducenti.
C’è una questione culturale e bisogna intervenire molto a tutti i livelli. Sicuramente è essenziale il proseguimento della digitalizzazione della pubblica amministrazione, anche se passi avanti rispetto a qualche anno fa ci sono stati. In diversi casi mancano ancora le competenze digitali. Ne abbiamo avuto un esempio con la Dad. Le scuole si sono trovate impreparate a trasferirsi nel digitale. Hanno fatto miracoli, ma si capisce che c’è ancora un grande gap tra i nativi digitali e gli insegnanti.
Oltre ai vantaggi, si citano spesso i rischi connessi all’e-commerce: quali consigli darebbe ai consumatori per evitare d'incorrere in abusi o situazioni d’acquisto spiacevoli?
In realtà bastano pochi accorgimenti.
Facciamo una premessa: il numero dei venditori scorretti è veramente esiguo rispetto alla totalità degli operatori. Generalmente i consumatori cascano in esperienze spiacevoli perché gli scorretti mettono in atto tutto quello che il consumatore vorrebbe trovare. Quindi è fondamentale evitare di comprare prodotti a prezzi fuori mercato. Bisogna domandarsi per quale motivo il venditore dovrebbe rinunciare al proprio guadagno. Quando c’è troppo sconto rispetto al listino, non c’è possibilità di avere margini e quindi è opportuno diffidare dall’affare troppo conveniente per essere vero. Poi basta mettere in moto altri controlli banalissimi, come andare a controllare se l’azienda esiste. Ad esempio verificando la partita IVA.
Posso anche andare a validare l’azienda tramite il mondo social, vedendo le recensioni. Poi ci sono tutti i sistemi dei Trustmark - bollini o sigilli di qualità come SonoSicuro - che possono aiutare. Se un venditore è in qualche modo associato ad Aicel o ad altre associazioni è un buon segnale di garanzia. Infine, usare metodi di pagamento tracciabili con i quali è in genere semplice ottenere un rimborso a fronte di una contestazione. Anche le carte di credito mettono in essere sistemi che aiutano a prevenire le truffe e permettono di contestare le transazioni o la mancata consegna della merce.
Guardiamo al futuro: cosa caratterizzerà l’evoluzione del modello e-commerce in Italia e quali saranno i trend che domineranno il comparto nei prossimi anni?
Ci sono trend abbastanza chiari. Metterei al primo posto la vera omnicanalità. Vuol dire che il consumatore è al centro. Dove effettua l’acquisto (canale fisico o online) risulta relativo. Questo perché il consumatore, anche grazie alla pandemia, tende a non selezionare un canale specifico. Oggi si acquista online non solo per risparmio, ma anche per comodità. Il consumatore tende a decidere in modo complesso. Va in negozio, vede il prodotto e poi lo compra online o viceversa. Quindi integrare i canali è fondamentale e sarà la linea che tutti seguiranno.
Come descrive il futuro dell’e-commerce?
Stanno arrivando nuove forme di e-commerce, difficili anche solo da inquadrare perché esulano dai modelli online tradizionali e diventano assolutamente virtuali.
Ad esempio il social commerce, lo streaming shopping. Le televendite fatte online dove il consumatore compra attraverso una diretta sui social. La generazione Z è molto attenta a questa esperienza di acquisto e compra d’impulso. Altro trend è il sistema di pagamento rateale, sostanzialmente oggi diversi sistemi di pagamento permettono di dividere il prezzo di acquisto in tre rate. È una forma di finanziamento automatico, che sfugge dai controlli dei finanziamenti e sicuramente è molto apprezzato dai consumatori. Si prevede che quadruplicherà il proprio valore nel giro di un anno.
E per quanto riguarda i trend su larga scala?
Ci sarà un aumento del voice shopping (ad esempio su Alexa o sui dispositivi Google) e parallelamente una crescita del voice advertising.
Queste cose saranno sempre più frequenti. E anche il discorso della realtà aumentata. Ikea ha fatto un’app che permette di vedere come starà un divano nella propria stanza. Per ultimo, ma non per questo meno importante, c’è anche moltissima attenzione alla sostenibilità. Aumenteranno i negozi di parti di ricambio. Ci sarà molta più attenzione al ciclo di vita del prodotto e crescerà l’e-commerce B2B. Ci sarà anche molta più attenzione ai risparmi e alla lotta agli sprechi, visto che il consumatore è sempre più attento e sotto pressione dal punto di vista mediatico su queste vicende.
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