Per la serie BlastingTalks intervistiamo Gianna Paciello, vice presidente di AIDA Partners. L’associazione è nata nel 1995 per iniziativa di un gruppo di consulenti della comunicazione, e mette in comune esperienze e specializzazioni professionali per sviluppare un approccio strategico e di qualità alle relazioni pubbliche e alla comunicazione aziendale.

Blasting Talks è una serie di interviste esclusive con business e opinion leader nazionali e internazionali per capire come la pandemia di coronavirus abbia accelerato il processo di digitalizzazione e come le aziende stiano rispondendo a questi cambiamenti epocali.

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Perché avete scelto l’acronimo AIDA per la vostra agenzia di comunicazione?

Aida è un acronimo che si usa nel mondo del marketing, e sta per Attenzione, Interesse, Desiderio e Azione. Indica le fasi attraverso cui il consumatore passa dalla conoscenza del brand allo svolgimento di un’azione quale l’acquisto di un prodotto o la richiesta d'informazioni. Il compito di una struttura come la nostra è quello di intercettare un bisogno del consumatore e identificare quali modi possono essere usati per spingerlo ad approfondire tutto ciò che riguarda l’azienda e i suoi prodotti, di qualunque genere siano.

Potete raccontare ai lettori cosa contraddistingue i servizi che offrite e il vostro approccio al mercato?

Affianchiamo l’azienda e i suoi manager in un percorso di crescita che porti da una parte a una brand awareness e dall’altra a una solida reputazione attraverso strumenti diversi: uno su tutti sono le media relation, che mettono in relazione la società con il mondo variegato dei media. Ma abbiamo anche altri servizi: facciamo consulenza sulla sostenibilità, public affairs e networking, corporate e brand communication, prepariamo al crisis management, insegniamo la comunicazione interna e come si fa formazione.

Ricevuto il brief e studiato il mercato di riferimento, il nostro compito è quello di mettere in campo gli strumenti migliori per raggiungere l’obiettivo.

Dalla vostra nascita siete arrivati tra le prime dieci agenzie indipendenti di comunicazione in Italia: quali strategie avete messo in campo per raggiungere questo risultato?

Abbiamo garantito ai nostri clienti un servizio di consulenza personalizzato e mai standardizzato. Abbiamo puntato sulla qualità, sulla relazione, sulla costruzione di un processo di crescita che premiasse l’azienda e, di conseguenza, l’agenzia. Le persone che lavorano con noi hanno un’esperienza tale che ci permette di garantire un affiancamento costante e di spessore. Studiamo i segnali di debolezza del mercato e prevediamo le tendenze, aiutando il cliente a cavalcare l’onda e a essere sempre un precursore nel suo settore. È un po’ quello che fanno i sociologi: ecco non siamo molto distanti da loro. Solo studiando il mondo che ci circonda si può essere innovativi.

Come si è evoluta la comunicazione negli ultimi venti anni e quali sono stati i passaggi chiave per arrivare alla realtà odierna?

L’evoluzione è stata soprattutto legata alla tecnologia e agli strumenti. L’avvento del mondo web, e quindi il passaggio da una realtà analogica a una realtà digitale, ha profondamente mutato i modi e i tempi di fruizione della comunicazione. E noi “comunicatori” non abbiamo potuto che prenderne atto, alcune volte anche “obtorto collo”. Questo ha significato non tanto cambiare i contenuti e le strategie, quanto i linguaggi e la profondità dei messaggi.

Cosa caratterizza la realtà odierna?

Oggi si consuma tutto ancora più velocemente nel mondo della comunicazione, anche se, allo stesso tempo, il mondo del web rende eterna la memoria di quanto fatto perché rimarranno tracce per sempre. Il che, per esempio nel “crisis management”, deve essere attentamente considerato.

Il nostro parere e il nostro auspicio è però che si trovi una via di mezzo tra la necessità di essere velocemente e prontamente informati in tempo reale e l’esigenza umanistica, meno robotica, di approfondire gli argomenti. E su questo non solo ci posizioniamo, ma ci battiamo.

In tutto ciò, può raccontare qual è stato l’impatto del coronavirus sul mercato della comunicazione e delle relazioni pubbliche in Italia?

La pandemia ha provocato incertezze, ha minato alla base le sicurezze di ciascuno di noi, ci ha costretto a fermarci e a guardarci dentro, sia personalmente che professionalmente. Abbiamo imparato a eliminare parte del superfluo e a dare maggiore valore alle piccole cose. In questo periodo abbiamo aiutato le aziende a dare al consumatore certezze, sicurezze, tutto ciò che veniva a mancare in una situazione così instabile.

La digitalizzazione ovviamente ha preso il sopravvento perché ha permesso a tutti noi di continuare a lavorare, ma noi abbiamo cercato in tutti i modi di preservare quello che è alla base del nostro lavoro, le relazioni. Non si può sostituire un PC a una stretta di mano. E anche se è giusto chiedere aiuto alla tecnologia non si può dimenticare l’uomo, che deve anzi continuare a essere al centro di ogni processo.

Cosa vi aspettate dal futuro? Secondo lei quali potrebbero essere i trend che caratterizzeranno il comparto nei prossimi anni?

Dal futuro ci aspettiamo un ritorno al passato. No, a parte i giochi di parole, non si può prescindere dall’attenzione a temi che riguardano il mondo in cui viviamo.

Come dicevo prima devono emergere gli argomenti che possono rendere migliore la nostra società e l’ambiente in cui viviamo. Si sta parlando tanto, anche troppo, di sostenibilità, che ormai è un concetto superato, svilito, standardizzato. Parliamo ormai di economia circolare e d'innovazione circolare perché il tema dell’innovazione è imprescindibile per qualunque società. Ma con un occhio di riguardo all’uomo, all’ambiente in cui vive, alle relazioni con i suoi simili, al rispetto per le diversità. Quindi tecnologia al servizio dell’uomo e non un uomo condizionato dalla tecnologia.

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