Forse adesso anche Bjork potrà cantare qualche bestemmia tra i vocalizzi delle sue canzoni, e noi italiani - ignari dell'islandese - potremmo anche fargli coro. Questo perché nella civilissima isola dell'Atlantico è stata abrogata un'antica legge che sanzionava in modo pesante la blasfemia. Secondo l'articolo 125 del Codice Penale islandese, che risale al 1940, chiunque ha "ridicolizzato o insultato i dogma religiosi o il credo di una religione ufficialmente riconosciuta dallo Stato" può incorrere in multe o essere condannato con tre mesi di carcere.

Un rischio che gli islandesi certamente non volevano correre.

La proposta è arrivata dal Partito Pirata, che al momento può contare su tre seggi su 63 nel parlamento islandese ('Alþingi'). Una forza certo non numerosa, ma in grado di far accogliere il 3 luglio dall'Assemblea la sua richiesta di abrogazione della legge, grazie anche ad una votazione che ha visto favorevole la quasi totalità del Parlamento: tre si sono astenuti e solo uno ha votato contrario.

La proposta è arrivata a febbraio, poco dopo l'attacco terroristico islamico alla redazione di "Charlie Hebdo", a Parigi. In nome della libertà di pensiero e di espressione i tre deputati avevano consegnato la proposta di abrogazione della norma anti-blasfemia.

Prima delle fasi di voto i tre membri del Partito Pirata hanno aperto il loro discorso pronunciando la frase "Je suis Charlie", il celebre motto che testimoniò la vicinanza della popolazione europea alle vittime dell'attacco terroristico.

A pronunciarsi a favore del provvedimento anche l'ufficio del Vescovo della Chiesa d'Islanda: "tutti i poteri legislativi che limitano la libertà di espressione in questo modo sono in contrasto con gli atteggiamenti moderni verso i diritti umani.

La libertà di espressione è uno dei più importanti capisaldi della democrazia e della libertà. È fondamentale per una società libera che i cittadini possano essere in grado di esprimersi senza timore della punizione, sia da parte delle autorità o da parte di altre persone".

Di parere diametralmente opposto è stata la Chiesa Cattolica, insieme alla Chiesa Pentecostale: "Per le persone di fede, la religione e l'immagine di Dio sono aspetti importanti della loro esistenza, identità e dignità, e questo dovrebbe essere protetto dalla legge.

La libertà di espressione può spingersi fino al punto in cui l'identità di una persona di fede può essere liberamente insultata, e anche la libertà personale - come individui o gruppi - è altrettanto minacciata. La libertà di espressione illimitata e senza restrizioni, senza alcun senso di responsabilità o di vincoli sociali naturali, può portare ad un abuso psicologico su individui o gruppi".

In Italia la blasfemia costituisce ancora un reato, secondo le disposizioni nel Codice penale vigente, datato 1930, all'interno delle disposizioni "concernenti la polizia dei costumi". Il reato di blasfemia però era riferito esclusivamente alla religione cattolica. La norma ha subito varie modifiche, per arrivare al D.L.

n. 507 del 30 dicembre 1999 che depenalizzato il reato, sanzionandolo come un "illecito amministrativo".

Un report diffuso nel 2014 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite da Ginevra auspicava l'eliminazione di norme che sanzionano la blasfemia, con la finalità di disinnescare sul nascere i conflitti religiosi. Tuttavia in Italia, come in altri Stati europei, quella raccomandazione è rimasta lettera morta.