Stando a quanto riportato da Andriy Lysenko - portavoce di quella che il Governo di Kiev chiama operazione anti-terrorismo - nelle ultime quarantotto ore sarebbero almeno quattro i soldati ucraini rimasti uccisi negli scontri con i ribelli filo-russi nel Donbass. A far da eco per la controparte è Eduard Basurin - vice comandante delle milizie della Repubblica popolare di Donetsk – il quale ha denunciato l’esercito ucraino di aver bombardato, nelle stesse quarantotto ore, alcuni quartieri residenziali di Donetsk e di aver installato a pochi chilometri dalla linea di contatto nuove postazioni di artiglieria mobile, cannoni e lanciarazzi.
La notizia, che non è una notizia, è che in barba agli accordi di Minsk dello scorso febbraio, di cessate il fuoco e di ritiro delle armi pesanti nemmeno l’ombra.
A proposito di armi
Ci si potrebbe chiedere come uno Stato economicamente agonizzante e ad un passo dall’implosione riesca ad armare il proprio esercito. Probabilmente è per questo motivo che quotidianamente il primo ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk reclama all’Occidente l’invio di quelle che il gergo militare chiama armi letali. Armi che per la verità l’Ucraina attenderebbe invano dall’ormai lontano 1994 quando, in cambio dello smantellamento di 1240 testate nucleari ex-sovietiche, si sarebbe aspettata un cospicuo corrispettivo in armamenti di fabbricazione americana.
Da qui il motivo della richiesta dell’attuale Presidente Petro Poroshenko che dalle pagine del Wall Street Journal ha fatto sapere che ricevere esattamente 1240 missili Javelin nuovi fiammanti sarebbe cosa giusta.
Una prospettiva di risarcimento che il generale dei Marines Joseph Dunford - futuro Capo degli Stati maggiori riuniti delle forze armate statunitensi – non ha esitato a definire «ragionevole».
A quanto pare le accorate richieste di aiuto militare che rimbalzano dall’Ucraina non hanno trovato terreno fertile nei soli giardini di Washington. Sembra infatti che anche i compagni di merenda europei non abbiano perso l’occasione di attaccare il proprio vagoncino in fondo al treno.
Una prima parziale conferma di ciò è arrivata per bocca dello stesso Presidente ucraino che in un’intervista recentemente concessa alla tv 1+1 ha affermato – guardandosi bene di esplicitare attori protagonisti ed estremi degli accordi (evidentemente stipulati) - che «se ci sarà una nuova fase di aggressione contro l'Ucraina riceveremo immediatamente sia armi letali che una nuova ondata di sanzioni contro l'aggressore».
Chi ha orecchie per intendere…
Se possibile, ancora più incisivo è risultato il pensiero esternato dell’Ambasciatore ucraino negli Stati Uniti Valeriy Chaly secondo il quale il Governo di Kiev starebbe già ricevendo sostegno militare anche da dieci Paesi europei. «Non possiamo raccontare tutto ma credetemi qualcosa c’è» le parole sibilline pronunciate dal diplomatico.
La notizia ovviamente sottaciuta dal mainstream occidentale, sarebbe infatti di quelle che scottano. In altri termini il vecchio continente non solo riconosce ed intavola relazioni diplomatiche con un governo golpista ma ne sosterrebbe sottotraccia l’attività bellica contro gli oppositori del colpo di stato di Piazza Maidan con il quale CIA e ONG, al soldo del Dipartimento di Stato americano, hanno issato questo compiacente governo fantoccio.
La novità negli esiti di questa sovversiva rivoluzione colorata risiede nell’aver sospinto al potere membri di organizzazioni espressamente naziste. Armi occidentali che pertanto finirebbero più o meno direttamente nelle mani di personaggi come Dmytro Yarosh, Assistente del comandante in capo delle forze armate, e Sergej Kvit, Ministro dell'istruzione e della scienza, dei quali il pensiero politico è tutt’altro che un mistero.
Una domanda è d'obbligo: anche l’Italia appartiene al gruppo dei dieci?