3.226 migranti: questo il numero raggiunto nelle ultime 24 ore per quanto concerne il flusso di persone che, dalla vicina Serbia, sta cercando di valicare l'Ungheria attraversando la linea ferroviaria nei pressi del villaggio di Rozske. Siriani, afghani, iracheni, pachistani, poco importano le loro origini, in quest'ultime settimane di storie ne sono state raccontate tante, nessuna prevalica sulle altre. Ogni migrante ha un bagaglio ben più pesante delle valige. In questo caso non ce ne sono, a pesare sono i ricordi ed il prezzo pagato per varcare le frontiere.

Un lungo viaggio durante il quale, oltre a pagare con le vite dei propri cari, molti profughi sono stati presi a calci non sono nella dignità ma nel vero senso della parola. Sono le immagini a parlare stavolta: lo dimostra per esempio il video che in queste ore sta girando il mondo, in cui la giornalista ungherese Petra Lazlo, dipendente dell’emittente televisiva N1TV e vicina al partito di estrema destra Jobbik, infierisce sui migranti prendendone uno a calci. "Ho avuto paura – ha sostenuto – quando i profughi hanno rotto il cordone della polizia mi sono vista arrivare addosso quest'uomo. Pensavo volesse aggredirmi e sono andata nel panico cercando di difendermi". Un uomo con in braccio un bambino, probabilmente suo figlio, intento a proteggerlo mentre tenta di fuggire dalla polizia ungherese.

Una minaccia alquanto discutibile, che crolla sistematicamente nel momento in cui la giornalista gli tende la gamba per uno sgambetto. Ora Petra Lazlo non ha più un lavoro, certo, ma anche l'Ungheria ha risentito dell'immagine che la giornalista ha rappresentato all'estero.

Questa è solo una delle tante immagini sul dramma immigrazione che segneranno la storia.

Più che le tante frasi elargite sull'accoglienza, gli ultimatum e le promesse da mantenere, le speranze dei bambini che arrivano in Europa stringendo fra le braccia il futuro come fosse un peluche, ricorderemo queste persone che fuggono col terrore negli occhi. Come fu per il "rivoltoso sconosciuto" a Piazza Tienanmen, le immagini spesso non hanno bisogno di spiegazioni.

Parlano da sole senza rivolgersi ad un interlocutore preciso, fanno discutere sul proprio significato perché lasciano spazio a libere interpretazioni.

A volte invece danno voce ad un solo monito, come nella foto di Carlo Angerer,fotoreporte Nbc News, in cui un bambino siriano offre innocentemente un biscotto ad un poliziotto ungherese: c'è più realtà e contatto umano in quel gesto che in un politico in cerca di un compromesso coi migranti. La tolleranza, il confronto e la comprensione si colgono nei gesti, non nelle retoriche della diplomazia europea. Così, un invito a condividere un biscotto diventa un segno di dialogo, quello che tante leggi hanno sottovalutato in questo stato d'emergenza.

Ungheria: uno stato d'emergenza da non sottovalutare

Si parla appunto di "emergenza": storie al limite della disperazione, persone prese letteralmente a calci pur di non essere rimandate indietro nel loro Paese, patria di conflitti armati e carestie, di estrema povertà e condizioni umane inaccettabili. La maggior parte di queste persone fugge dalla Siria, si pensi che circa 7.600 migranti fuggono da lì utilizzando la tratta balcanica (ovvero tramite la Macedonia, a cui accedono dalla Grecia). La maggior parte di loro tenta di distanziarsi dallo Stato Islamico.

Ma i kilometri non bastano a trovar rifugio, anche così le immagini rimangono troppo lontane da noi per convincerci. Forse questo spiegherebbe la richiesta dell'Ungheria affinché venga cancellata dai Paesi beneficiari dei 120mila ricollocamenti intra-Ue proposti da Bruxelles.

Dal 15 settembre infatti, "i migranti che entreranno in Ungheria" - precisa il primo premier ungherese Viktor Orban- "con la nuova normativa sull'immigrazione verranno arrestati se entrati nel paese illegalmente". Difficile dopo quella data dimostrare la propria innocenza, solo una rimarrà salda: quella del bambino siriano e del suo biscotto.