I sessant’anni dell’Unione Europea – o meglio, dalla sottoscrizione dei Trattati di Roma – sono stati commemorati dai capi di governo dei 27 membri attuali, nel suo luogo di nascita: il Campidoglio. Onde evitare una mera e retorica commemorazione, si è ritenuto affiancare all’evento la firma di una dichiarazione comune che riproponesse i valori e i pilastri dell’Unione, oggi messi in discussione e rilanciasse gli impegni comuni.
La redazione della versione originale della dichiarazione era stata affidata a Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo (o meglio, al suo ufficio), la negoziazione, affinché si potesse giungere al massimo del consenso, è stata condotta dal presidente gentiloni, in quanto padrone di casa.
Ruolo e meriti di Gentiloni
A Paolo Gentiloni va indubbiamente il merito di essere riuscito a ottenere l’unanimità dei consensi da parte dei suoi colleghi. Per fare ciò, è stato costretto a smussare il concetto a cui – forse – teneva di più: quello dell’Europa a due marce.
Nell’intendimento del Premier italiano “Europa a due marce” avrebbe dovuto significare un allentamento della rigidità dei parametri economici nei confronti degli Stati in difficoltà e più livelli di assorbimento del problema migranti, con particolare riguardo a quelli degli “Stati di confine”, come l’Italia.
Gli Stati dell’Europa settentrionale, probabilmente, intendevano diversamente tale concetto, ma ciò che lo ha sfumato quasi del tutto è stato l’atteggiamento dei paesi dell’Est, che ritenevano di essere discriminati.
Tuttavia, alla fine, Gentiloni è riuscito a trovare la quadra e la cosa, di questi tempi, non è affatto da poco.
Sfide e principi
In effetti, di “Europa a due marce”, nella dichiarazione, non si parla affatto: si accenna soltanto, tra gli obiettivi, alla “diversità dei sistemi nazionali”, senza che ciò si traduca in alcuna linea politica finalizzante.
Si attribuisce, inoltre, alla “moneta unica” un ruolo di sostegno alla crescita e all’occupazione, sancendo, quindi, l’obiettivo di un’unica marcia, quanto meno nella politica monetaria.
La dichiarazione si apre citando i “guanti di sfida”, attualmente rivolti all’Unione, da parte del resto del mondo: i conflitti regionali, il terrorismo, le pressioni migratorie crescenti, il protezionismo e le disuguaglianze sociali ed economiche.
Il documento prosegue enumerando i “principi-base”, con i quali l’Europa intende affrontare tali sfide: l’unità dell’istituzione (che difficlmente si concilia con quello dell’Europa a due marce), la solidarietà tra gli Stati-membro ma nel rispetto di regole comuni (tanto caro a frau Merkel); un non precisato impegno a “plasmare la globalizzazione” e la riaffermazione del concetto della porta aperta ai paesi che accettino regole e principi della UE, espresso dai “padri” dell’Europa, sessant’anni fa ancora a sei membri.
Obiettivi
Tra gli obiettivi da conseguire, si prende atto che l’Unione non può assorbire all’infinito il flusso migratorio e si concorda sulla protezione delle frontiere esterne, con l’adozione di una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile; sulla lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata.
Per un'Europa prospera e sostenibile, oltre alla moneta e al mercato unico, l’obiettivo dell’occupazione e della crescita sostenibile va perseguito, secondo i firmatari, attraverso gli investimenti e le riforme strutturali e l’integrità del mercato interno. La lotta alla disoccupazione, alla discriminazione, all’esclusione sociale e alla povertà sono invece gli obiettivi per un’Europa sociale.
Infine, si auspica – forse, velleitariamente – un’Europa più forte sulla scena mondiale, grazie all’orgoglio dei propri valori di democrazia e di rispetto dei diritti umani, la creazione di un’industria della difesa più competitiva e integrata, impegnata a rafforzare la propria sicurezza e la difesa comuni: Infine, una stoccata a Donald Trump: la promozione di un commercio libero ed equo e una politica climatica globale e positiva.