La Corte di Giustizia Europea con Sentenza del 18 settembre 2018, ha condannato lo Stato del Belgio perché aveva proibito, ad una donna che indossava l’hijab, di entrare nell’aula di un tribunale penale, per motivi legati ad una presunta mancanza di rispetto verso i giudici e perché, sempre stando all’interpretazione fornita dallo Stato belga, il principio di neutralità nei luoghi pubblici, proprio di ogni aula di giustizia, in quanto presidio di diritti comuni, può aver prevalenza rispetto al diritto (individuale) della donna ad indossare il velo per motivi religiosi.

In pratica, il Belgio elevava l’interesse pubblico alla “neutralità” ed all’immediata identificazione dell’utente nelle aule di giustizia, ad interesse primario rispetto al diritto individuale ad indossare l’hijab, che avvolge i capelli e copre il collo.

Così la motivazione della Corte di Strasburgo: “Vietare il velo in pubblico viola il diritto alla libertà di pensiero, coscienza, religione”.

In particolare, il divieto dell’hijab è in aperta violazione dell’art. 9 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, disposizione, questa, che al comma 2 prevede che la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo, non possa essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.

Il ricorso della donna

A richiedere l’intervento della Corte di Strasburgo è stata una donna che si era costituita parte civile all’interno di un processo che vedeva imputato un uomo che aveva ucciso il fratello; ebbene, fatto ingresso nell’aula di giustizia belga, la donna si vedeva negare la permanenza poiché indossava il contestato velo islamico.

Con la sentenza che ha chiuso il ricorso promosso dalla donna a tutela del proprio diritto alla libera esplicazione della propria fede religiosa, la Corte di Giustizia Europea ha ritenuto che non esisteva alcuna violazione della sicurezza pubblica da parte della donna; inoltre la stessa non aveva violato norme di ordine pubblico, né aveva posto a repentaglio la salute comune, né posto minaccia alla morale pubblica; peraltro, nessuna violazione di diritti o libertà altrui interveniva nella fattispecie.

I giudici europei sono pervenuti alla decisione con una maggioranza di sei voti favorevoli ed uno solo contrario ed hanno motivato le loro determinazioni sulla base del fatto che negare l’accesso nelle aule di tribunali viola l’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Questa norma protegge il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione.

La sentenza appena pubblicata dalla Corte di Strasburgo ha considerato altresì la circostanza che il velo non copriva completamente il viso della donna; inoltre non era tenuta quest’ultima ad osservare doveri di discrezione, propri dei dipendenti pubblici.

I giudici europei hanno inoltre condannato il Belgio al risarcimento del danno morale in favore della donna, che è stato determinato, in via equitativa, nella somma di mille euro.

Prima apertura della Corte di Strasburgo in materia di velo islamico

Questa sentenza è un primo cenno di apertura dei giudici europei rispetto al diritto della donna di indossare il velo islamico all''interno delle aule di tribunale.

Nel luglio 2017, invece, la Corte di Giustizia Europea rigettò il ricorso presentato in un’altra fattispecie simile a quella presente; tuttavia, in quel caso si trattava del velo integrale, che copriva per intero la donna, lasciandole scoperti soltanto gli occhi. In quella evenienza, effettivamente, i giudici europei osservarono che il restringimento del diritto del singolo cittadino fosse necessario al fine di assicurare la coesione sociale, oltre che per proteggere i diritti e le libertà degli altri individui, in armonia con i principi propri di una società democratica. Per dirla in due parole: hijab sì, velo integrale no.