L'azione di nullità è un'azione di accertamento, diretta ad accertare che il negozio posto in essere è difforme dal modello legale. La relativa azione può essere proposta da chiunque vi abbia interesse (anchedai terzi). Costoro, pur essendo estranei al rapporto negoziale sorto, possono avere un interesse giuridicamente qualificato ad agire. L'interesse ad agire deve essere dimostrato dall'attore (Cass. 2447/14); il giudice deve valutare l'idoneità della pronuncia richiesta a produrre un effetto utile alla parte che ha proposto l'azione, attenendosi alla prospettazione dei fatti proposti.Legittimato passivo dell' azione di nullità è colui che intende trarre vantaggio dall'incertezza sorta per effetto del contratto nullo.
La nullità può essere fatta valere dal giudice in ogni stato e grado del giudizio (anche in sede di legittimità, con l'esclusione di compiere nuovi accertamenti di fatto rispetto alle fasi di merito, per cui la nullità è rilevabile solo ove siano stati acquisiti agli atti gli elementi probatori da cui essa risulta (Cass. S.U. 8510/14). Appare controverso il collegamento della rilevabilità d'ufficio della nullità con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c. La nullità non può essere affermata sulla base dei motivi diversi adotti dalla parte (Cass. 24159/14) o per un titolo diverso da quello dedotto in primo grado; il giudice, inoltre, è tenuto a rilevare d'ufficio la nullità del contratto solo nei giudizi che presuppongono la validità del contratto (quando viene proposta domanda di adempimento e non risoluzione del contratto o lo scioglimento del medesimo).
Tali principi sono stati messi in discussione dalle S.U. con le sentenze nn. 26242 e 26243 del 2014. Risultano ancora auspicabili le riforme del processo civile.
Ragionamento delle S.U.
Le S.U. hanno affermato che il giudice non ha il dovere di rilevare e accertare la nullità dell'atto se esiste una ragione più liquida per la definizione del giudizio (prescrizione, mancata scadenza dell'obbligazione, etc.), cioè, una ragione di economia processuale che comporti una minore attività istruttoria e che vada comunque nel senso di far rigettare la domanda basata sul contratto nullo: egli deve pronunciarsi su quella ragione senza necessità di accertare la nullità dell'atto.
Tale assunto è in contrasto con il dovere del giudice sancito dall'art. 1421 c.c. Il potere-dovere del giudice ha la finalità di proteggere superiori interessi del nostro ordinamento; quindi, se è vero che tramite tale esercizio officioso, l'ordinamento, vuole sanzionare i privati che pongono in essere un atto nullo, il giudice (se ricava il motivo di nullità dagli elementi portati alla sua attenzione) non può per nessuna ragione di economia processuale, omettere di dichiarare l'atto nullo.
Potrebbe, infatti, accadere che un privato agisce in giudizio per chiedere l'esecuzione di un contratto nullo e il giudice rigetta la domanda (pur vedendo la nullità dell'atto) in quanto la prestazione dedotta nel contratto non è ancora scaduta. Il creditore, paradossalmente, aspetterà che la prestazione scada e in caso di perdurante inadempimento, si rivolgerà di nuovo al giudice. Aggravi di costi, due giudizi, incertezze che dureranno anni e infine una sentenza definitiva circa la nullità in questione. Le due sentenze sopra citate integrano quasi gli estremi di sentenze-trattato. A tal proposito, le S.U. (Cass. 642/15) ci hanno ricordato che già il legislatore del 1940 aveva ribadito l'importanza di una motivazione concisa e non eccedente la propria funzione, identificata nell'esposizione delle ragioni della decisione assunta e non delle capacità argomentative del giudice.
La chiarezza e sinteticità cui deve improntarsi il provvedimento giurisdizionale ha indotto il primo presidente della Cassazione a presupporre che le stesse caratteristiche dovessero caratterizzare anche gli atti di parte, fino ad augurarsi un tetto congruo di venti pagine. Qualcosa sta cambiando in ambiti simili.