La disciplina del lavoro agile, o ‘smartworking’, caratterizza la seconda parte del disegno di legge approvato dal governo lo scorso 28 gennaio 2016. Accanto alle maggiori tutele, divenute ormai indispensabili per molteplici ragioni e introdotte per i lavoratori autonomiquali partite IVA e liberi professionisti, pertanto, il governo ha inteso disciplinare una forma di lavoro che, grazie agli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia, si sta affermando con una certa rapidità nel mondo del lavoro. È chiara, dunque, la duplice natura sulla quale è stato costruito il disegno di legge in questione: da un parte vi è stata l’attuazione di un corpus di normative volte ad equiparare i lavoratori autonomi a quelli dipendenti dal punto di vista delle tutele ad essi destinate e, per di più, dirette ad inserire vere e proprie tutele studiate su misura per tale tipologia di lavoratori garantendo il rispetto di specifiche esigenze proprie degli stessi; dall’altra parte invece si è trattato di disciplinare una nuova concezione del lavoro (di fatto si tratta di una evoluzione del telelavoro) che data la diffusione di cui sta godendo (Vodafone ed Enel, infatti, già la attuano), non poteva non essere regolamentata.
L'obiettivo del governo e le tutele dello smart worker
Lo scopo che soggiace alla regolamentazione del lavoro agile si può racchiudere in una parola: ‘flessibilità’. Garantire, quindi, la flessibilità del lavoro a fronte delle nuove modalità attraverso le quali il lavoro medesimo necessita di organizzarsi per rispondere alle crescenti esigenze del mercato. Il comunicato stampa emanato dal governo due giorni fa, in tal senso, è chiaro: "La seconda parte del provvedimento reca disposizioni in materia di lavoro agile, che consiste, non in una nuova tipologia contrattuale, ma in una modalità flessibile di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato quanto ai luoghi e ai tempi di lavoro finalizzata a regolare forme innovative di organizzazione del lavoro, agevolando così la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro’.
Nessuna nuova tipologia contrattuale, quindi, bensì si tratta di una sorta di ‘proiezione flessibile’ del rapporto di lavoro subordinato: il lavoro svolto in azienda può così essere diviso e svolto ‘in parte all’esterno, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva", si evince ancora dal comunicato governativo.
Si tratterebbe, dunque, di una forma di lavoro ibrida poiché si svolge secondo tempi ‘dilatati’ ed in luoghi quasi mai prestabiliti ma livellata da un punto di vista normativo al lavoro in azienda.
A seguito di tale ultima constatazione, il ddl promuove proprio l'equiparazione delle tutele riferita anche al lavoro agile: ciò che vale per i lavoratori che svolgono la propria attività in azienda vale anche per coloro che lavorano all’esterno, secondo tempi e modi flessibili.
Infatti, al lavoratore che presta il proprio servizio secondo le regole del lavoro agile viene garantito lo stesso trattamento economico e normativo garantito per i lavoratori che, a parità di mansioni svolte, operano all’interno dell’azienda. E non solo: vengono applicati al lavoro agile i premi di natura fiscale e contributiva che derivano dagli incrementi di produttività del lavoro subordinato; infine, stessa equiparazione ‘lavoratore esterno-lavoratore interno’ è prevista per il rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza.