Coloro che sono stati vessati dalle continue telefonate dei call center sui cellulari a scopi pubblicitari potranno denunciare le compagnie dei call center qualora esse abbiano chiamato senza il consenso del ricevente la telefonata. Nei casi in cui invece le telefonate commerciali vengano fatte su linea fissa con degli strumenti di selezione automatica dei numeri da chiamare le cosiddette ‘telefonate mute’, si può essere chiamati solo se si è dato il previo consenso. Anche chi dovesse ricevere una ‘telefonata muta’ che fa squillare inutilmente il telefono dell'utente, che dopo aver risposto è costretto ad attendere qualche secondo prima di sentire parlare l’operatore, può denunciare la società di call center al Garante della Privacy.

E’ quanto ha statuito una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2196 del 4 febbraio 2016 con la quale i giudici di Piazza Cavour, in sostanza, hanno detto basta, in presenza di alcune condizioni, al fastidioso telemarketing. La Suprema Corte ha confermato un provvedimento del Garante della Privacy, che aveva fermato un’iniziativa commerciale di Enel Energia basata proprio chiamate mute, cioè in cui chi risponde rischia di sentirsi riattaccare.

Telefonate mute da telefono fisso: non basta il dissenso esplicito

La Suprema Corte ha fatto dunque importanti precisazioni sul tema, partendo proprio dalle telefonate su rete fissa effettuate sia da operatori telefonici sia mute, richiamando anche direttiva 2002/58 sull’e-privacy.

La Cassazione ha sottolineato che il sistema del opt-out, ovvero del dissenso esplicito è valido solo per le chiamate fatte da operatore, senza l'uso di sistemi automatici, e richiedono se effettuate su linee fisse un preventivo ed esplicito consenso. La Suprema Corte non condivide quindi la tesi difensiva dei vari gestori telefonici secondo cui chi è inserito negli elenchi telefonici deve dare un esplicito dissenso se vuole evitare di ricevere telefonate commerciali, salvo l‘esercizio del diritto di opposizione attraverso l'iscrizione nel relativo registro.

Gli Ermellini hanno affermato invece che nella direttiva 2002/58 sull’e-privacy prevale il principio del consenso inequivocabile espresso, specialmente ove si tratti di 'telefonate mute'. Inoltre la Suprema Corte circoscrive tali principio solo ai dati personali degli utenti pubblicati negli elenchi degli abbonati ai servizi di telefonia fissa.

Telefonate da apparecchio mobile: necessario il consenso espresso

Il discorso cambia invece se si tratta di telefonate ai fini commerciali effettuate dal cellulare. In tali casi infatti non opera nemmeno il sistema dell’opt-outproprio perché riguarda solo chi compare negli elenchi telefonici pubblici: le telefonate fatte dai call center verso utenze mobilinecessitano sempre di un esplicito e preventivo consenso della persona titolare del numero del cellulare. Il Garante della Privacy in questi giorni si è pronunciato su un'altra importante questione, quella delle web scraping, ossia quei software che ricercando dati su internet e che riescono anche a prelevare, in automatico, i numeri di telefono degli utenti.

Il Garante della Privacy ha sottolineato che i numeri telefonici fissi e mobili si possono ricavare solo dal Data base unico (Dbu). Ne consegue che ricavare tali numeri col web scraping è ritenuto illegittimo.

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