I controlli a distanza previsti dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, dopo la riforma operata dallo “Jobs Act” (Dlgs n. 151/15) hanno ampliato il potere del datore di lavoro di operare un controllo sull’attività lavorativa svolta dai dipendenti. Cade quindi il divieto di controllo a distanza della prestazione lavorativa e subentra la possibilità di utilizzare impianti audiovisivi per esigenze di carattere organizzativo e produttivo e quindi per la tutela del patrimonio aziendale. In pratica con l'installazione di una videocamera all’ingresso di uno studio e dell’azienda si possono monitorare gli spostamenti del lavoratore e dei terzi.
Tali informazioni possono essere utilizzate anche ai fini disciplinari sebbene prima erano utilizzabili solo per accertare fatti illeciti.
Lo Jobs Act prevede altresì anche l’utilizzo di strumenti come i lettori badge per gli accessi e le presenze. Al fine di garantire la legittimità del loro utilizzo però lo stesso articolo 4 prevede la necessità di un accordo sindacale in mancanza del quale il datore di lavoro deve ottenere un’autorizzazione del Ministero del Lavoro e della DTL, che verificano la correttezza dell’impiego di questi strumenti a tutela dei lavoratori impiegati nell’impresa. La Cassazione, sul tema con 2 sentenza recenti ha circoscritto appunto le ipotesi di legittimità dei controlli a distanza con riferimento anche all’applicazione delle sanzioni disciplinari.
Limiti del rispetto della privacy: detective assoldato dall’azienda
La Cassazione con la sentenza n 9749/16 ha chiarito quando l’azienda può ingaggiare un investigatore per controllare i dipendenti, sempre nel rispetto dei limiti della non invasione della privata dimora e della privacy del lavoratore interessato. La giurisprudenza è sempre stata concorde nel ritenere che i limiti che gli “ispettori privati” incontrano coincidono con l’impossibilità di verificare la qualità o la durata della prestazione del dipendente.
L’incarico investigativo è volto al solo fine di prevenire la commissione di illeciti dei dipendenti. Protagonista della vicenda è stato un lavoratore che ha proposto ricorso contro il licenziamento intimatogli dall’azienda dopo che aveva fruito illegittimamente dei permessi previsti dalla L n. 104/92 concessi per assistere la suocera disabile.
Infatti egli aveva utilizzato detti permessi almeno 5 volte in un mese per scopi personali. Insindacabile dunque il responso sia della magistratura di merito sia della Suprema Corte che ha respinto il ricorso del lavoratore. Gli Ermellini hanno espresso un importante principio di diritto, tenendo conto dell’infedele e grave comportamento del dipendente.Il controllo effettuato dagli investigatori sul dipendente non viola lo Statuto dei Lavoratori qualora abbia ad oggetto un comportamento tenuto dal dipendente fuori dallo svolgimento delle sue prestazioni lavorative. La liceità del controllo è quindi riconducibile al fatto che esso sia espletato a seguito delle contestazioni disciplinari sempre fuori dall’azienda o in modo nascosto.
Timbratura del badge, quando configura un controllo a distanza?
La sentenza n.9904/2016 ha avuto invece come protagonista un lavoratore che, dopo il licenziamento, ha proposto ricorso e si è visto accogliere lo stesso dalla Corte d’appello che ha ritenuto l’illegittimità del recesso del datore di lavoro intimatogli per giusta causa per via dell’inutilizzabilità dei dati acquisiti a giustificazione. Nello specifico l’impianto di rilevazione dei dati aziendali in entrata ed in uscita era stato ritenuto illegittimo perché realizzava in concreto un controllo a distanza dei lavoratori, posto in osservanza dei doveri di diligenza dei dipendenti nel rispetto dell’orario di lavoro. Mancava però un accordo scritto con le rappresentanze sindacali.
La Suprema Corte, accogliendo le doglianze del lavoratore, ha quindi ritenuto che tale apparecchiatura aziendale implicando un accertamento sul quantum della prestazione vada sempre concordata con il sindacato.