Il nodo dei lavoratori precoci rischia di minare l’accordo che sindacati e governo stanno faticosamente cercando di raggiungere in merito all’introduzione della flessibilità in uscita dal lavoro. Data per certa l’adozione dell’Ape quale strumento di accesso volontario alla pensione anticipata, rimangono sul tappeto altre questioni, come quella dei lavori usuranti e, soprattutto, la richiesta della ormai nota Quota 41 per tutti i lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima dei diciotto anni.
L’ipotesi del bonus per la pensione anticipata dei precoci
Secondo quanto dichiarato dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, la questione dei lavoratori precoci è ‘difficile da affrontare in quanto ha un livello di costo molto alto e bisogna fare bene i conti’. Un’affermazione che sembra chiudere definitivamente le porte alla Quota 41 auspicata dai sindacati, in favore di una pensione anticipata da raggiungere grazie ad un ‘bonus’ in termini di sconto sull’età della pensione da concedere per ogni anno di contributi versati prima dei diciotto anni. In pratica, i sindacati chiedono che chi ha cominciato a lavorare prima dei diciotto anni possa andare in pensione al raggiungimento dei 41 anni di contributi versati (contro gli attuali 42 anni e 10 mesi), mentre il governo sembra disposto a concedere uno sconto di 4/6 mesi per ogni anno di lavoro prima dei diciotto anni allo scopo di ridurre la platea degli interessati e, di conseguenza, i costi per le casse dello Stato.
Scontro tra sindacato e governo sui costi della pensione anticipata per i precoci
E’ proprio il costo dell’operazione lo scoglio che ha, fino a questo momento, impedito di affrontare e risolvere la questione della pensione anticipata per i precoci.
Secondo calcoli dell’Inps, sarebbero 3,5 milioni i lavoratori che hanno almeno un anno di contributi versati prima dei 18 anni, che corrisponderebbero a circa 80 mila precoci da ‘pensionare’ ogni anno, con un costo stimato di circa 3 miliardi di lire.
Calcoli contestati dal sindacato, secondo il quale i veri precoci sarebbero 30 mila ed il loro pensionamento costerebbe non più di 600 milioni di euro.
La revisione verso il basso delle stime di crescita del Pil italiano certamente non contribuisce allo scioglimento nel nodo che sicuramente verrà affrontato in via definitiva nel corso del prossimo incontro tra governo e sindacati fissato per il 21 settembre.