L'interpretazione dell'Inps sulla pensione anticipata a 64 anni e sette mesi nel 2016, dunque per i nati nel 1952, e per le donne che potranno andare in pensione di vecchiaia a 60 anni, in realtà, è penalizzante per determinate categorie di contribuenti. È questa la posizione espressa dall'Inca Cgil sulla norma eccezionale che permette ai lavoratori di poter uscire anticipatamente con i requisiti esistenti prima della riforma Fornero, purché in possesso di determinati requisiti contributivi ed anagrafici.

Pensione anticipata e vecchiaia 2016 a 64 anni: i requisiti di quota 96 e donne

Nel dettaglio, la nota dell'Inps numero 196 del mese di novembre ricordava che per i contribuenti della classe 1952 è possibile andare in pensione anticipata avendo raggiunto l'età di 64 anni e sette mesi purché lavoratori del settore privato, secondo quanto previsto dal comma 15-bis dell'articolo 24 della legge 201 del 2011. Serve, però, la quota 96, ovvero un numero minimo di 35 anni di contributi e di almeno 60 anni di età compiuti entro il 31 dicembre 2012. Per le donne, invece, è possibile andare in pensione di vecchiaia con venti anni di contributi ed un'età di sessant'anni compiuta sempre entro il 31 dicembre 2012.

Tuttavia, dopo l'interpretazione del 26 ottobre scorso del ministero del Lavoro, la possibilità di andare in pensione anticipata e di vecchiaia con detti requisiti è stata estesa anche ai lavoratori del pubblico impiego, agli autonomi e ai contribuenti che, al 28 dicembre 2011, risultassero disoccupati.

Pensione a 64 anni: chi sono i penalizzati?

Tuttavia, denuncia la Cgil, il regime eccezionale delineato dall'Inps per le Pensioni anticipate e di vecchiaia, non contemplano i casi in cui i contribuenti abbiano versato i contributi volontari, i versamenti derivanti dal servizio militare, la maternità al di fuori da un rapporto di lavoro, i periodi di disoccupazione con indennità, la mobilità e i periodi riscattati non derivanti da periodi lavorativi come, ad esempio, il riscatto della laurea.

Il comunicato della Cgil, oltre a denunciare l'interpretazione restrittiva ed arbitraria dell'Inps, sottolinea che le penalizzazioni sono soprattutto a carico delle donne, più soggette a precarietà lavorative e, pertanto, più danneggiate da carriere discontinue ai fini contributivi.