Il pacchetto previdenziale, l’insieme di misure in materia Pensioni che la nuova Legge di Bilancio ha al suo interno, ha un intreccio di provvedimenti tra il previdenziale e l’assistenziale. Una categoria di soggetti che il Governo ha deciso di tutelare sono i disoccupati. L’APE e la Quota 41 infatti hanno riservato a questa categoria di disagiati, le cosiddette scorciatoie per la pensione, cioè delle vie di uscita anticipate rispetto alle regole attuali proprio in virtù del loro status di disoccupati. Purtroppo però, come sempre accade, il Governo è stato costretto a inserire limitazioni e paletti che di fatto rendono difficile per molti l’accesso a queste vie di uscita, nonostante siano senza lavoro.

Un perimetro di intervento che più si legge la misura (la Legge di Bilancio è stata pubblicata il 21 dicembre in Gazzetta Ufficiale e tutte le misure possono essere studiate attentamente) e più diventa ristretto.

Tra assistenza e previdenza

Due misure che sono le autentiche novità previdenziali e assistenziali inserite nel pacchetto previdenziale sono quota 41 e APE. La prima consente di accedere alla pensione anticipata con 41 anni di contributi di cui uno prima dei 19 anni di età, anziché 42 e 10 mesi (41 e 10 per le donne) come da Legge Fornero. La seconda invece consente la pensione di vecchiaia a partire dai 63 anni, in prestito da parte delle banche e senza aspettare i 66 anni e 7 mesi necessari attualmente.

Per quest’ultima scorciatoia, i 66 anni e 7 mesi diventano importanti perché segnano la data a partire dalla quale, i pensionati dovranno iniziare a restituire i soldi alla banca. Per i disoccupati invece ci penserà lo Stato, proprio perché bisognosi di assistenza. Per entrambe le vie di uscita, lo stato di disoccupazione deve essere involontario e da almeno 3 mesi devono essere stati completati i periodi di copertura da parte degli ammortizzatori sociali.

Per chi non centra questi due requisiti, nessuna scorciatoia viene concessa, o meglio nessuna via agevolata perché resta sempre l’Ape volontaria, ma in questo caso c’è da fare i conti con il prestito bancario, cioè i soldi da restituire alla banca.

Una platea molto ristretta

Il Governo ha operato seguendo una linea ben definita, cioè all’obbligo di dare una mano ai disagiati, ha dovuto collegare l’obbligo di risparmiare soldi.

In parole povere, alle misure create sono stati applicati criteri tali da ridurre platea e quindi costi. Nessuna furbata sarà ammessa, perché licenziarsi per la pensione non è possibile. Come accade per coloro che richiedono la NASPI all’INPS, cioè il sussidio per disoccupati, bisogna essere stati licenziati, anche con procedure collettive in aziende da almeno 15 dipendenti o in alternativa, bisogna aver presentato le dimissioni che la Direzione Territoriale per il Lavoro ha sdoganato come per giusta causa. La perdita di lavoro deve riguardare i lavoratori dipendenti e pertanto sono esclusi i lavoratori autonomi che hanno chiuso le attività, o quelli che provengono da contratti di collaborazione scaduti, i cosiddetti parasubordinati.

I 3 mesi di vuoto reddituale poi sono un altro pesante limite che rimanderà o addirittura non consentirà la pensione per molti. Si immagini un soggetto che ha 41 anni di contributi e che perde il lavoro oggi. Dovrà aspettare di terminare tutto il periodo indennizzato di NASPI, (anche 24 mesi ma con importi a scalare che sono esigui negli ultimi mesi) e aggiungere i 3 mesi ulteriori per centrare l’uscita con quota 41. Per l’APE poi c’è la soglia dei 1500 euro, cioè il limite massimo di pensione erogabile. In pratica, con l’APE, la pensione è calcolata in base ai contributi versati fino al momento della domanda e se l’importo mensile non supera i 1.250 euro netti. Per l’APE inoltre, servono 30 anni di contributi, cioè 10 in più di quelli necessari per percepire la normale pensione di vecchiaia.