L’emanazione dei decreti attuativi sembrava una cosa scontata, con gli incontri tra Governo e sindacati già calendarizzati. L’ultimo incontro previsto per il 13 marzo è slittato al 20, così come il precedente del 2 marzo, servì solo a spostare in avanti l’uscita dei decreti attuativi. Adesso il ritardo è sensibile, con meno di due mesi dalla data di avvio di APE e quota 41. Il ritardo riguarda anche la tanto attesa circolare INPS su opzione donna. In pratica, tutto brancola ancora nel buio e le novità previdenziali previste dalla Legge di Bilancio sono ancora in attesa di chiarimenti.

Un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Giornale” di oggi 15 marzo, sembra eloquente circa la spiegazione ai continui rinvii dei decreti. Il problema sono le coperture, con il Governo che probabilmente, in sede di manovra finanziaria ha sbagliato i conti e adesso medita soluzioni.

La coperta troppo corta

L’APE sociale è destinata a lavoratori che rientrano nelle fasce meno abbienti e quindi bisognose di tutela. La misura consente di andare in pensione a partire dai 63 anni con 30 anni di versamenti contributivi e senza penalizzazioni di assegno futuro, per via della rata di prestito da restituire. La pensione erogata, non reversibile e non adeguabile alla perequazione, sarà di 12 mensilità, cioè senza tredicesima.

Il costo dell’APE sociale sarà a completo carico dello Stato, che si sobbarcherà l’onere di restituire la pensione prestata ai lavoratori che vi rientreranno, da parte di una banca. Il Governo, in Legge di Bilancio ha destinato, per il 2017, 300mila euro a questa misura. La platea di possibili beneficiari invece è di circa 35mila individui.

Conti alla mano, sono troppi e per questo che il Governo medita di scaglionare i beneficiari di questa APE sociale, spalmandoli nel tempo per evitare esborsi fuori budget. L’APE agevolata è indirizzata a soggetti disoccupati e senza ammortizzatori sociali da almeno 3 mesi, invalidi con il 74% di disabilità accertata o con invalidi a carico e infine, i lavori gravosi.

L’Esecutivo medita di dare priorità ai disoccupati, poi agli invalidi ed infine a quelli con invalidi a carico. Non è certo, ma probabilmente, se i soldi non bastassero, a qualcuno sarà detto di riprovare nel 2018, cioè nel secondo anno di azione delle novità pensionistiche, utilizzando i soldi stanziati nella prossima Stabilità.

Speranze zero

E pensare che qualcuno aveva ipotizzato che i rinvii servivano per valutare attentamente estensioni di platea per le misure in vista del 1° maggio. I 30 anni di contributi necessari per l’APE sociale devono essere effettivi, senza i figurativi di cui sono pieni gli estratti conto della stragrande maggioranza dei lavoratori in area APE sociale. Si parlava di allargare anche ai contributi da maternità, servizio militare e disoccupazioni, la fascia di contributi validi all’APE sociale, ma evidentemente, questo resterà un sogno.

Lo stesso per la cancellazione dei 6 anni di continuità lavorativa (gli ultimi 6), chiesti per l’accesso all’APE o a quota 41 per chi è impegnato in lavori gravosi. Più giorni passano, meno certo appare l’inserimento di una franchigia di 12 mesi che detoni il paletto dei 6 anni che esclude gli edili da qualsiasi anticipo. Sempre per la categoria dei lavori gravosi, sembrava in procinto di passare un correttivo che voleva dare maggiore importanza alla mansione del lavoratore piuttosto che al settore di provenienza dell’azienda per cui lavora. Difficile anche questo perché significa ampliare la platea dei beneficiari ben oltre le 11 categorie di lavori gravosi previste dal Governo. Tutti questi punti comunque, sono sul tavolo della trattativa Governo-sindacati.

Prima o poi l’incontro dovrà pur tenersi e sarà allora che si dovranno affrontare le problematiche prima citate, senza considerare che fuori dalla porta del Ministero del Lavoro, che è la sede degli incontri, ci sono i lavoratori precoci, le donne e tutte le altre categorie che attendono risposte dal Governo.