Anche quest’anno il Primo Maggio è arrivato. La festività, istituita nel 1889 dai socialisti che parteciparono alla Seconda Internazionale di Parigi, compie oggi 128 anni. Nata per ricordare e unificare le lotte intraprese dal movimento operaio, sul fronte della rivendicazione di migliori condizioni lavorative, questa data sembra aver perso significato. La vita frenetica del postmodernismo, la liquidità dei rapporti interpersonali, il dominio dell’istantaneità comunicativa, e i continui cambiamenti tecnologici e politici hanno allentato la nostra memoria individuale, sbiadendo così-secondo il vecchio adagio di Maurice Halbwachs-il quadro di quella collettiva.

Ciò ha determinato una svalutazione sostanziale di una parte importante della storia umana e si è affievolito il significato profondo che momenti importanti, come il Primo Maggio, portano con sé. Al contempo, il ricordo sfocato indebolisce la riflessione sul tema che ogni celebrazione possiede, impedendo così la visione diacronica del cambiamento e azzerando ogni tipo di valutazione: sulla bontà dell’oggi rispetto allo ieri e sull’immaginabile del domani. Questo quadro, insieme alla legittimazione che i sindacati richiedono alla società- per ovvie ragioni si sopravvivenza, mostra la necessità stessa della ricorrenza, rendendola più che mai attuale in ragione della propria utilità sociale. Per questo- come accade dal 1990- CGIL, CISL e UIL promuovono il concerto a piazza San Giovanni in Laterano.

L’evento musicale, oltre ad essere un momento di convivialità e di partecipazione, è spazio e tempo di riflessione: sul lavoro e sui lavoratori, sui diritti e sui doveri, sulle problematiche e sulle possibili soluzioni.

Alcuni dati che fanno pensare

Secondo gli ultimi dati Istat, l’occupazione, fotografata a Dicembre 2016, è stabile rispetto ai dodici mesi precedenti.

Tuttavia, è ancora molto bassa se confrontata al periodo pre-crisi. Il dato più preoccupante è quello sulla disoccupazione giovanile: su 10 ragazzi, tra i 15 e i 24 anni, più di 4 sono fuori dal mercato. Invece, la piccola crescita del tasso degli occupati, nelle fasce d’età superiori, sembra destinata a sgonfiarsi, poiché legata a contratti in scadenza.

Pochi giorni fa, l’Istituto Europeo di Statistica ha reso noti i numeri delle morti sul lavoro per l’anno 2014. In Italia, il rapporto dei decessi su una base di 100 mila unità è superiore a 3. Questo fa sì che il Belpaese si collochi -purtroppo- sopra la media europea, pari a 2,32%. Inoltre, le analisi condotte sui primi due mesi di quest’anno non sono rassicuranti, perché segnalano, rispetto al 2016, un aumento sia degli infortuni e sia delle morti.

Un’altra dimensione su cui meditare è quella “dei non contrattualizzati” che, alimentando l’economia sommersa, frenano sia la crescita nazionale e sia il benessere generale. Nel 2016, l’Eurispes ha stimato per l’Italia un valore complessivo della black-economy superiore a circa 350 miliardi di euro.

Secondo Salvio Capasso, responsabile editoriale della rivista Rassegna Economica, se l’incidenza dell’economia sommersa italiana sul pil fosse ridotta, e portata a livello della media europea, riemergerebbero 40 miliardi. Questo tesoretto potrebbe essere speso dallo Stato sul piano degli investimenti, in particolare sulle politiche del lavoro, a beneficio dell’intera collettività.

Un ultimo punto su cui riflettere è la svalutazione del valore economico e sociale della forza lavoro. I licenziamenti di Almaviva e il secco rifiuto dei dipendenti Alitalia, all’ennesimo sacrificio richiesto dall’azienda, devono far pensare. Vanno trovati nuovi modelli capaci di coniugare il cambiamento con la centralità del lavoro.

È doveroso sopprimere quelle soluzioni che pur generando profitto svalutano la dignità, la competenza e la personalità degli attori umani che lo producono.

Un invito

Ergo, festeggiamo il Primo Maggio con Ermal Meta e Francesco Gabbani, ma riflettiamo sul lavoro e sui diritti del lavoratore. Non dimentichiamo che l’equa retribuzione, le condizioni d’impiego, e la continuità sono costantemente messe in discussione e che per tenerle in vita è necessario l’impegno quotidiano di ciascuno. Non dimentichiamo che, come recita la Costituzione, la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro. Non dimentichiamo- come scrisse Hegel- che “l’uomo è il suo lavoro”.