Il Governo è pronto a sbloccare i contratti nel Pubblico Impiego che da oltre 8 anni sono fermi. La nota vicenda della sentenza della Consulta che ha valutano incostituzionale il blocco voluto dalla Fornero, volgerà a termine a breve. Questo quanto sottolineato dal Ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, che ha comunicato di avere inviato all’Aran l’atto di indirizzo nonché l’invito a convocare le parti sociali per il via alla contrattazione. Secondo il Ministro, il tutto dovrebbe completarsi entro fine giugno o, al massimo, entro il prossimo luglio.

Insomma, prima dell’estate il rinnovo del contratto per i lavoratori statali dovrebbe essere pronto. I dubbi, nonostante le rassicuranti parole della Madia, permangono, a partire dalle cifre che finiranno nelle tasche dei lavoratori, da troppo tempo vessati redditualmente da questo blocco.

La base di partenza dello scorso novembre

Se è vero che l’Aran convocherà presto le sigle sindacali per il rinnovo del contratto, si ripartirà da quanto stabilito nella bozza di accordo trovato nell’ultimo incontro del novembre 2016. Da allora, infatti, l’argomento non è stato più affrontato, con il Governo ed il Ministro alle prese con il completamento della riforma della Pubblica Amministrazione che ha monopolizzato l’intera attenzione dell’Esecutivo in materia di pubblico impiego.

Nell’accordo dello scorso novembre si stabilirono aumenti medi pro capite di 85 euro al mese per ogni dipendente pubblico. Aumenti diversi in base a condizioni reddituali e meritocratiche, e soprattutto, cifre da considerare al lordo. I soggetti interessati, cioè i lavoratori statali, sarebbero 3,3 milioni, con un esborso previsto e rimarcato nell’ultimo Documento di Economia e Finanze del Governo, che sarebbe intorno ai 2,8 miliardi di euro.

Soldi che il Governo oggi non ha ancora messo a disposizione, con le cifre ferme al miliardo della vecchia Legge di Bilancio, e con la restante parte che dovrebbe fuoriuscire nella prossima manovra finanziaria e dalla quota che devono mettere in campo le Regioni e Province Autonome. In definitiva, tutto ancora in alto mare e tutto ancora da discutere con i sindacati.

Le aspettative dei lavoratori

Se le cifre sono un problema, anche i tempi influiscono molto sul capitolo rinnovo. Infatti, secondo le indiscrezioni, il rinnovo dovrebbe partire dal 1° gennaio 2016, anche se i sindacati considererebbero utile la data di luglio 2015, quella in cui è fuoriuscita la sentenza della Corte Costituzionale. Cifre alla mano, per il 2016 però, non spetterebbero i famosi 85 euro di aumento, ma cifre intorno ai 10 euro al mese per dipendente. A partire dal 1° gennaio 2017 invece, gli aumenti sarebbero di 35 euro circa a dipendente, per poi arrivare agli 85 euro solo nel 2018, sempre che nella Legge di Bilancio di fine anno ci siano risorse per completare l’operazione. Cifre irrisorie secondo i sindacati che riporteranno il loro scetticismo anche al tavolo della discussione.

Infatti, secondo i sindacati di base, il potere di acquisto dello stipendio di ogni lavoratore, si è drasticamente ridotto in questi 8 anni di blocco. Proprio i sindacati, appellandosi alla Commissione Lavoro in Senato al fine di far ripartire immediatamente la trattativa, quantifica in 210 euro al mese in più per dipendente l’importo che dovrebbe essere inserito alla voce aumento di stipendio. Senza considerare poi che questi aumenti non dovrebbero intaccare il bonus da 80 euro previsto da Renzi e che rischia di essere perduto dai dipendenti a contratto rinnovato. SU questo punto il Ministro è stato chiaro perché nell’atto di indirizzo ci dovrebbe essere un punto che riguarda proprio il bonus con il meccanismo da mettere in piedi per tutelarlo e tutelare i lavoratori.