Da giorni non si fa altro che parlare di Ape volontaria, dopo che il premier Gentiloni ha posto la sua firma sul decreto attuativo, atteso in realtà dal primo maggio, insieme all'Ape social e la quota 41 dei lavoratori precoci. Riguardo al tema Pensioni però continua a rivestire un ruolo importante l'aspettativa di vita. Più passano le settimane e più appare improbabile un rinvio ma anche un semplice suo rallentamento, come richiesto negli ultimi tempi da Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati. Se fosse confermato l'aumento della speranza di vita, e dunque lo scatto di anzianità a 67 anni, cosa cambierebbe per chi presenta la richiesta dell'Ape?
Gli effetti sull'Ape volontaria se l'aspettativa di vita aumenta
Se verrà confermato un aumento della speranza di vita dal 2015 al 2017, in autunno ci sarà il via libera, da parte del governo, all'aumento di 5 mesi dell'età per andare in pensione. Attualmente, si può richiedere la pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi. Dal 1° gennaio 2019 invece ci vorranno 67 anni. Tutto questo non potrà non avere conseguenze sull'Ape volontaria, dal momento che quest'ultima prevede un anticipo di 3 anni e 7 mesi rispetto agli attuali 66 anni e 7 mesi richiesti per andare in quiescenza.
Più l'aspettativa di vita aumenta, più tardi si va in pensione. E se si ritarda l'uscita dal lavoro, ugualmente si hanno delle conseguenze sulla richiesta di andare in pensione anticipata a 63 anni, così come permette l'anticipo pensionistico volontario oggi, sebbene non sia una misura ancora operativa (lo diventerà probabilmente tra fine settembre e l'inizio del prossimo mese di ottobre).
In linea teorica ci sono due possibilità: la prima prevede uno slittamento di 5 mesi della possibilità di ritirarsi dal lavoro, da 63 anni a 63 anni e 5 mesi; la seconda via è che il lavoratore vada ugualmente in pensione a 63 anni, con l'allungamento della finestra di anticipo di 5 mesi, non più 3 anni e 7 mesi ma 4 anni.
A pagare è il pensionato
Stando alle indiscrezioni de Il Sole 24 Ore, la via prescelta è la seconda indicata qui sopra. Ciò significa che nel 2019, chi presenterà domanda per l'Ape volontaria, otterrà un anticipo di 4 anni, sempre a patto che la speranza di vita aumenti. Il prestito bancario che il lavoratore dovrà sottoscrivere non dovrà dunque più coprire i 3 anni e 7 mesi di anticipo ma 4 anni.
La conseguenza diretta è che il pensionato si ritroverà a pagare una rata più alta rispetto a quella che pagherà fino al 31 dicembre 2018, ultima data utile per andare in pensione anticipata a 63 anni a fronte dei 66 anni e 7 mesi richiesti dalla Legge Fornero. Alla fine, dunque, a pagare sarà sempre chi va in quiescenza, accettando la riduzione dell'assegno pensionistico per 20 anni, vale a dire la durata della restituzione del prestito richiesto alla banca per poter uscire prima dal lavoro. Anche per questo motivo i sindacati, in occasione dell'ultimo incontro con i rappresentanti del governo, hanno chiesto il blocco dell'aspettativa di vita.