Con la Legge di Bilancio che, dopo l’ok della Commissione Bilancio in Senato aspetta solo l’ormai imminente via libera delle Camere, anche la questione del rinnovo del contratto dei lavoratori pubblici ormai è in dirittura di arrivo. L’accordo tra Aran e sindacati ancora non c’è ed è fermo alla bozza di intesa di un anno esatto fa, quando uscì fuori la questione delle 85 euro lorde a testa. Intesa o non, il Governo nella Legge di Bilancio ha stanziato ulteriori dotazioni economiche per far fronte a quello che ormai è un impegno preso ed inderogabile, con la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2015 che attende ancora di essere messa in pratica.
Il blocco della Fornero tacciato di incostituzionalità dalla Consulta provocherà l’obbligatorio sblocco del contratto (fermo da oltre 8 anni), con conseguenti aumenti di stipendio per il meccanismo perequativo e con la concessione degli arretrati per il 2016 e 2017. Ma le cifre di cui si parla oggi sono diverse da quelle della bozza di intesa del novembre 2016 e per gli arretrati, l’erogazione una tantum preparata dall’esecutivo fa storcere il naso ai sindacati soprattutto per quanto riguarda le cifre.
L’una tantum della discordia
Se non sarà gennaio il mese degli aumenti, non si potrà andare più in la della primavera, con le elezioni politiche e la campagna elettorale che necessita di provvedimenti ad alto gradimento nell’elettorato, come il rinnovo per gli statali può essere considerato.
Come riporta il quotidiano “Il Sole24Ore” con un articolo del 26 novembre scorso, oltre che il rinnovo del Governo, la prossima primavera dovrà ottemperare a diverse sostituzioni tramite elezioni di Governi Regionali in importanti regioni (Friuli, Lombardia e Lazio su tutte) nonché il rinnovo delle cariche sindacali nelle Pubbliche Amministrazioni.
Troppo importante partire con provvedimenti a cuore alla gente e pertanto gli arretrati per i lavoratori statali arriveranno gioco forza. Le cifre di cui parla il quotidiano sono sempre le solite, con l’una tantum da 580 euro circa a testa ed in media per dipendente. Cifre che copriranno gli anni 2016 e 2017, senza però partire dalla data di pubblicazione della sentenza della Consulta da cui tutto e partito, cioè luglio 2015.
Secondo il sindacato Anief del comparto Scuola, quanto riportato da Il Sole24Ore non coincide con le cifre disponibili al capitolo rinnovo. Considerando anche 1,6 miliardi che dovrebbero mettere sul piatto gli enti locali, che nel frattempo chiedono al Governo aiuto in questo senso per non tagliare servizi ai cittadini per via del grande esborso loro richiesto, si arriva a mala pena a 468 euro medi a testa. Inoltre essendo una cifra lorda (deve essere tassata) e soprattutto media, secondo l’Anief le vere cifre sarebbero pari a 220 euro nette a lavoratore. Lontane dai 2.600 euro circa che anche l’Anief indica come cifra che andrebbe a coprire il vero danno subito dai lavoratori per gli anni 2016 e 2017.
Anche l’aumento è poca cosa
Se le cifre arretrate sembrano non mettere d’accordo tutti, anche quelle che dovrebbero finire mensilmente ai lavoratori come aumenti per la perequazione (il tasso di inflazione) che da tempo non vengono applicati nel Pubblico Impiego, sortiscono lo steso effetto. Secondo l’Anief che ricorda i dati Istat sull’inflazione degli ultimi anni, gli aumenti da 85 euro di cui si parlava nell’intesa erano già irrisori rispetto ai 127 euro a testa che sarebbero dovuti essere erogati mensilmente ai lavoratori a partire dal 2018. Anche in questo caso la cifra di 85 euro nasconde la verità relativa alle tasse da pagare ed all’erogazione diversa a seconda dei lavoratori e delle loro condizioni reddituali come prevede il Governo.
Per l’Anief nel 2018, quando davvero gli aumenti finiranno in busta paga si arriverà ad incrementi che a mala pena arrivano a 40 euro al mese. Senza considerare che con l’intesa di fine 2016 non c’era traccia dell’indennità di vacanza, ennesimo diritto non concesso a lavoratori che da ormai 8 anni sono vessati dal punto di vista economico, con potere di acquisto dello stipendio drasticamente ridotto.