#NoiSiamoMelegatti è l'hashtag lanciato sui social network dall'azienda di panettoni e pandori melegatti, che vive un forte crisi e i cui lavoratori non percepiscono lo stipendio da agosto. L'invito è chiaro: il consumatore si deve sforzare a comprare i prodotti dell'azienda veronese per salvare soprattutto i dipendenti, per questo in tanti si sono mobilitati, la campagna ha avuto successo e sembrerebbe che adesso i Lavoratori siano salvi. Ma è davvero così? A leggere o ascoltare le notizie sui vari media potrebbe sembrare sia proprio così, ma non vengono spiegate le ragione di una crisi che ha colpito la ditta creata nel 1894 da Domenico Melegatti, crisi pagata dai lavoratori in primis.
E proprio sulle spalle di questi ultimi è andata in scena la farsa: con la scusa di salvarli dalla cassaintegrazione, di ridare loro gli stipendi arretrati e di continuare a farli lavorare hanno indirizzato i consumatori a fare a gara di solidarietà. Anche la politica si è espressa favorevolmente riguardo a questa campagna social.
Quali sono le ragioni della crisi?
Tutto nasce nel 2015 con gli scandali che hanno colpito in generale il settore alimentare, dovuto all'utilizzo di materie prime non di prima qualità. Inoltre la ditta di Verona ci mette del suo, con operazioni di marketing alquanto discutibili, come le campagne pubblicitarie molto costose a mezzo stampa e sui social, spesso e volentieri di cattivo gusto.
La ciliegina sulla torta, però, è un'altra: quest'anno l'azienda ha comprato una fabbrica per 15 milioni di euro per la produzione di cornetti, pagata in contanti, con conseguenze non positive per le casse della Melegatti, per il pagamento dei salari dei dipendenti e per le forniture.
La fabbrica è stata davvero riaperta dai lavoratori?
Non sembra essere esattamente così. A leggere le dichiarazioni dei proprietari dell'azienda e di chi finora ha contribuito alle scelte dirigenziali sembrerebbe proprio così, con un'azienda sull'orlo del fallimento presa in mano dagli operai e salvata. I fatti, però, vanno in un'altra direzione: a novembre la Melegatti ha portato i libri contabili in tribunale per il concordato preventivo, cercando di evitare il fallimento e tentando di introdurre nuovo capitale grazie a nuovi soci.
A questo punto il tribunale chiede che vengano presi provvedimenti per riprendere la produzione in vista del Natale, così da poter consentire la ristrutturazione dei debiti e avere a disposizione un transazione fiscale per poter rimettere a posto i conti. Avviene anche l'accordo con i sindacati per il pagamento degli stipendi di novembre e i salari arretrati.
A questo punto viene lanciata la campagna social, grazie ad alcuni esponenti pentastellati, per comprare i prodotti Melegatti per Natale, nel nome dei lavoratori di questa azienda. L'obiettivo viene raggiunto, viene raggiunta la quota di produzione stabilita dal tribunale e la ditta annuncia il trionfo ringraziando i consumatori con un comunicato.
I lavoratori sono salvi, pare che abbiano in mano l'azienda, ma qualcosa non torna. In realtà non è una novità utilizzare gli operai per campagne di questo tipo facendo passare un messaggio che sa di bufala. Nel settore degli appalti pubblici è pieno di esempi di questo tipo, così come un altro esempio è l'Ilva di Taranto, con i Riva che cercarono di ottenere maggiori profitti contrapponendo la questione del lavoro e dell'ambiente e della salute. In quel caso la maggioranza dei dipendenti dell'Ilva capì l'inganno e non cadde in trappola.
È solo una favola di Natale
La novità introdotta nel caso Melegatti è la già citata campagna social, che riesce a far girare il messaggio in tempi brevissimi e con costi bassissimi, con il massimo risultato di guadagni, che non andrà ai lavoratori (riceveranno solo parte degli arretrati), ma all'azienda che potrà, così, pagare i fornitori con conseguente abbassamento salariale dei dipendenti, che con tutta probabilità non riusciranno ad evitare la cassaintegrazione.
L'azienda sarà risanata e c'è la possibilità che venga rivenduta con i conti in ordine e non vicina al fallimento, con grande guadagno di chi la gestisce. I sindacati confederali facendo la scelta di accettare le condizioni della Melegatti hanno salvato solo momentaneamente i lavoratori che rappresentano, non considerando forse del tutto i problemi futuri che, oggi come ieri, sono ancora degli operai.