Dopo #Metoo, hashtag simbolo della campagna contro le molestie sessuali, nasce #Paymetoo (paga anche me), il grido di battaglia delle donne per ottenere maggiore uguaglianza sul lavoro. Lanciato da Stella Creasy, leader laburista di un gruppo di deputate britanniche, nasce a seguito della resa al pubblico dei salari medi di uomini e donne di tutte le aziende pubbliche con più di 250 dipendenti e di quelle private sul suolo inglese. Nonostante più di 2000 aziende non abbiano ancora presentato i numeri, è già chiaro come il gender pay gap sia molto alto soprattutto in ambito finanziario, posizionando il paese all’undicesima posizione della classifica mondiale che tiene conto proprio di questa disparità.
Via le maschere
Il tema dell’uguaglianza tra i sessi pare molto caro al governo guidato da Theresa May, che minaccia azioni legali a chi non rispetta questa pubblicazione, limiti della quale decisi per il 30 marzo per quanto riguarda le aziende pubbliche ed il 4 aprile per quelle private. Da più di cinquant’anni nel Paese il gender pay gap (cioè la differenza tra lo stipendio medio di tutti gli uomini e di tutte le donne lavoratori di una medesima impresa) è tenuto sott’occhio. È infatti illegale retribuire, per una stessa mansione, in modo differente una donna da un uomo per una questione di genere. Come è possibile, dunque, ritrovare nelle aziende dei livelli così alti di disparità? Il segreto sta nella distribuzione delle cariche.
Dove all’apice si ritroveranno per la maggior parte uomini mentre alle donne sono lasciate mansioni secondarie, le differenze saranno molto alte.
Il settore finanziario nell’occhio del ciclone
Nell'area privata questa distribuzione non uniforme dei doveri è costata cara. Schizzano infatti alle stelle i valori del gender gap se si stanno ad osservare i dati presentati dalla Thompson Reuters (16,95%), della BBC (10,7%) e del Financial Times (24,4%).
Ma il settore dell’editoria non fa intimidire quello dei trasporti. Le compagnie aeree EasyJet e British Airways registrano livelli pare al 51,7% per l’azienda con sede a Luton e al 35% quando si parla della compagnia di bandiera. Scioccanti sono le percentuali di Ryanair con 67%, lasciando le posizioni più retribuite agli uomini (solo 8 piloti su 554 sono di sesso femminile).
Lo sforzo maggiore per appianare definitivamente questa differenza dev’essere fatto però dalle società finanziare, che si sono viste tempestare di domande riguardanti la valorizzazione delle donne nel corso della pubblicazione dei dati. 55% per la Goldman Sach, 48% Barclays e 59% per la parte inglese della Hsbc. Ancora una volta, il motivo è chiaro: le impiegate sono ancora impegnate nella salita verso i picchi, mentre le poltrone senior sono occupate nella maggior parte dei casi da colleghi uomini. Il 78% dei privati si vede dunque coinvolto nello scandalo gender gap. Anche sul versante pubblico però la Gran Bretagna si presenta debole, vedendo una differenza del 14 per cento tra i salari maschili e quelli femminili.
Per favorire la fine di tutto questo, la BBC avrebbe creato un programma che rende possibile la verifica della posizione non solo della propria azienda, ma anche di tutte le altre, inserendone il nome. Se tutti questi dati posizionano la Gran Bretagna quasi nella top ten dei Paesi con più alti livelli di gender gap, a guidare la classifica troviamo la Corea, mentre l’Italia si classifica piuttosto in basso, grazie alla poca oscillazione dei salari in campo pubblico. In Francia sarà varata una nuova legge che prevede multe per imprese scoperte a fare questo genere di favoritismi. Sempre per evitarli, dal prossimo anno verrà introdotto un controllo automatico degli stipendi.