Le ultime proiezioni inserite all'interno del nuovo Documento di Economia e Finanza (conosciuto comunemente come DEF) stanno rilanciando in queste ore la discussione riguardante il comparto previdenziale e le riforme d'austerità prodotte e applicate negli scorsi anni. Nonostante la campagna elettorale sia ormai terminata da settimane, non sembra infatti spegnersi il dibattito. Se da un lato troviamo le esigenze di tenuta dei conti finalizzate a garantire la sostenibilità di medio e lungo termine degli assegni, dall'altro vi sono le legittime rivendicazioni dei lavoratori, molti dei quali non riescono ad accedere al pensionamento nonostante l'età avanzata e la caduta in situazioni di disagio.

E mentre la politica continua a discutere (prolungando lo stallo), emergono continuamente nuove simulazioni e nuovi dati sull'effettivo numero dei pensionamenti.

L'allarme contenuto nel DEF: rischio Debito - Pil al 200%

L'ultimo allarme giunto in merito al comparto previdenziale in ordine di tempo è contenuto all'interno del DEF e riguarda il livello di indebitamento presunto che sarebbe stato raggiunto nel caso in cui non fossero state attuate le riforme pensionistico del 2004 e del 2011. Secondo quanto riportato nel dato tendenziale, il debito pubblico italiano avrebbe potuto raggiungere il 150% del PIL nel breve periodo e addirittura il 200% nel lungo termine. Il riferimento va in particolare alla stagione dei pensionamenti dei cosiddetti baby boomer, ovvero di quei lavoratori che dovrebbero ottenere l'agognata quiescenza nella finestra temporale compresa tra il 2030 ed il 2040.

Stime che sono state calcolate, tra l'altro, al netto degli interventi di flessibilizzazione più recenti (come nel caso dell'APE sociale e della quota 41 dei lavoratori precoci che vivono situazioni di difficoltà).

La prova dei fatti negli ultimi dati forniti dall'Inps

D'altra parte, che le recenti manovre restrittive abbiano avuto un forte impatto sui conti (e sulla difficoltà di ottenere l'accesso alla pensione da parte dei lavoratori), emerge anche dai nuovi dati rilasciati dall'Inps.

L'Istituto pubblico di previdenza ha infatti registrato (anno su anno) un calo nel numero degli assegni liquidati, scesi dell'8.3%. Un trend che coincide con l'incremento dei requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia per le donne, che si sono viste equiparare i parametri alla popolazione maschile. Ma alla stretta farà seguito il prossimo anno un ulteriore fardello, corrispondente al nuovo adeguamento all'aspettativa di vita, che incrementerà nel biennio 2019-2020 di ulteriori 5 mensilità i requisiti utili per l'ottenimento dell'assegno di vecchiaia o di anzianità.

Non è quindi difficile comprendere le ragioni di chi chiede da tempo di ripristinare nel sistema maggiore flessibilità previdenziale, anche perché l'insieme degli interventi restrittivi sulle regole di accesso all'Inps ha purtroppo avuto il difetto di essere stato applicato senza gradualità e con molte falle rispetto ai drammi occupazionali causati dalla crisi economica negli ultimi anni.

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