Mai più Pensioni sotto i 780 euro al mese è la frase del vice premier Luigi Di Maio che ieri ha fatto il giro dei media. La pensione di cittadinanza continua ad essere la misura su cui puntano forte il Movimento 5 Stelle e il suo leader. Una risposta secca di Di Maio alle critiche sul provvedimento, che sta tanto a cuore ai “grillini”, pervenute dall’area leghista e dall’economista Alberto Brambilla che ha duramente attaccato reddito e pensione di cittadinanza. La misura pertanto resta tra le più probabili in legge di Bilancio, soprattutto alla luce del fatto che parte della spesa per l’aumento delle pensioni minime potrebbe uscire dal taglio degli assegni d’oro sopra i 4.500 euro netti al mese.
In pratica, del miliardo e mezzo circa che potrebbe costare la pensione di cittadinanza, 300/400 milioni uscirebbero dal ricalcolo contributivo degli assegni superiori a quella soglia, che nel frattempo è scesa rispetto al provvedimento inserito nella proposta di legge conosciuta come D’Uva-Molinaro. Come funziona la pensione di cittadinanza e cosa si prenderà in più di pensione nel 2019? Vediamo di rispondere a questi quesiti che sicuramente la stragrande maggioranza dei pensionati si pone.
La misura in sintesi
A partire da gennaio le pensioni minime saranno portate a 780 euro, almeno così ha dichiarato Di Maio confermando quando detto la settimana scorsa dal Viceministro Laura Castelli. La pensione di cittadinanza a 780 euro come importo prefissato.
In pratica, si tratta di un assegno aggiuntivo alle pensioni più basse che non arrivano alla soglia. Tutti coloro che percepiscono assegni sotto tale limite, si vedranno aumentare l’importo fino ad arrivare a 780 euro al mese. Nella nota di aggiornamento del Def è molto probabile che esca qualcosa al riguardo, soprattutto per quanto concerne le coperture perché è evidente che il solo taglio delle pensioni d’oro non è sufficiente.
Il 27 settembre, quando il governo presenterà il nuovo documento di economia e finanza se ne saprà di più, anche se gli scettici considerano il provvedimento non solo poco fattibile per via dei costi, ma anche dal punto di vista sociale. Brambilla infatti considera la misura deleteria perché potrebbe spingere artigiani e commercianti a scegliere di non pagare più contributi se poi, anche coloro che non hanno mai lavorato, percepiranno pensioni di importo identico a loro.
E intanto, nuova rivalutazione
Dal 1° gennaio prossimo si tornerà alla vecchia rivalutazione degli assegni previdenziali, di nuovo a tre scaglioni e non più a cinque. Tradotto in linguaggio più pratico, le pensioni più elevate, comprese quelle che subiranno il ricalcolo per via del taglio delle pensioni d’oro, saliranno nel 2019.
L’adeguamento dei trattamenti pensionistici al tasso di inflazione Istat sarà basato su tre fasce di pensionati. In primo luogo le pensioni fino a tre volte il minimo, cioè di importo fino a 1.522 euro al mese secondo l’attuale trattamento minimo previsto dall’Inps (la soglia viene aggiornata annualmente dall’istituto e così succederà anche dal prossimo gennaio). Poi ci sono le pensioni superiori a tre e fino a cinque volte il minimo, cioè fino a 2.540 euro al mese ed infine quelle superiori a tale limite.
Per le pensioni fino a 1.522 euro al mese nulla cambierà con l’aumento previsto pari al 100% del tasso di inflazione. Per le pensioni della seconda fascia l’aumento erogato sarà pari al 90% del tasso di inflazione Istat e per quelle più elevate si scenderà al 75% del tasso di aumento del costo della vita. Proprio queste le ultime due fasce beneficeranno di questo ritorno al passato, perché per esempio, le pensioni superiori a cinque volte il minimo nel 2018 sono salite solo del 50% rispetto al tasso di inflazione.