La collezione di reperti archeologici e quella del commercio di opere d'Arte sta divenendo una piaga diffusa. Molti infatti credono che il possesso di tali oggetti non costituisca reato. Invece è tutto l'esatto contrario, poiché la legislazione in materia è chiarissima, e chi possegga illegalmente un bene archeologico, anche a titolo personale, commette reato. Forse non lo sapeva un giovane della provincia di Lecce.

'Vendo antichissimo capitello romano'

Così, M.C, 29 anni di Cutrofiano, paesino in provincia di Lecce, è stato colto in flagranza di reato dai Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale di Bari.

Il ragazzo infatti aveva postato su un noto sito di annunci la foto del capitello e la cifra a cui questo sarebbe stato venduto: circa 120.000 euro. A questo punto, monitorando l'attività del soggetto, le forze dell'Ordine si sono messe sulle tracce del giovane, già noto alle cronache locali.

Mercoledì 27 giugno 2018 gli uomini dell'Arma si sono recati presso il domicilio del soggetto. Dopo un'attenta perquisizione i Carabinieri hanno trovato il manufatto. Il ragazzo è stato quindi denunciato per ricettazione. I beni infatti che si trovano al di sotto del piano di calpestio, sia terrestre ma anche marino, sono di proprietà dello Stato. Tali rimangono anche i reperti trovati in maniera casuale.

Il possesso di un bene archeologico non è mai lecito. Chi scopra fortuitamente un bene archeologico, come da Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio è tenuto ad avvisare entro 24 ore dal ritrovamento i Carabinieri e, quindi, la locale Soprintendenza. Solo in casi eccezionali e dopo aver seguito tutte le procedure indicate dal Codice dei Beni Culturali, è consentito allo scopritore usufruire di un premio.

Il giovane: 'il capitello era di una zia di mio padre'

Il soggetto ha riferito ai militari dell'Arma che il capitello non fosse suo. Sarebbe infatti appartenuto ad una zia del padre. Il tale aveva quindi deciso bene di mettere in vendita il prezioso manufatto. Aveva anche rassicurato in un certo modo gli eventuali clienti: "Come da titolo vendo antichissimo capitello dell'epoca romana, un reperto introvabile sul mercato.

Possiedo certificazione che posso inoltrare tramite e-mail, di lecito possesso e certificazione alla vendita da parte della Soprintendenza della mia regione. Solo collezionisti e seriamente interessati, no perditempo. Sono disponibilissimo previo contatto telefonico a far vedere il reperto da qualunque esperto esistente in Italia. Prezzo non trattabile. Grazie".

Il caso è veramente curioso, poiché la Soprintendenza non autorizza mai la vendita di tali beni. Per dovere di cronaca ci sembra comunque lecito riportare che la legislazione in merito, agli art.63 e 64 del Codice dei Beni Culturali, autorizza, in determinate circostanze, il commercio di cose antiche. Infatti all'art.63 comma 1 si legge: "L'autorità locale di pubblica sicurezza, abilitata ai sensi della normativa in materia a ricevere la dichiarazione preventiva di esercizio del commercio di cose antiche o usate, trasmette al Soprintendente e alla regione copia della dichiarazione medesima, presentata da chi esercita il commercio di cose rientranti nella categoria di cui alla lettera A dell'allegato A del presente decreto legislativo, di seguito indicato come "Allegato A".

Tale allegato, in effetti, riguarda proprio per primi i reperti archeologici con più di cento anni provenienti da scavi e scoperte terrestri o sottomarine, siti archeologici e collezioni archeologiche.

Stando così le cose i conti non tornano. Saranno ora le autorità a verificare il tutto. Il capitello, secondo le prime indiscrezioni, è databile al IV-V secolo d.C. ad epoca tardo-antica. Un periodo storico ancora tutto da studiare in terra salentina.