Dici King Crimson, leggi storia del rock progressivo. E non solo. Perché se è vero che In the court of the Crimson King, il primo album della band inglese nel 1969, viene da molti considerato il Big Bang del progressive, è altrettanto vero che Robert Fripp e soci sono stati i più progressivi nel senso stretto del termine: sperimentali, a volte al limite dell’avanguardia, influenzati negli anni da jazz, folk, classica, elettronica, new wave e perfino heavy metal. I King Crimson sono sempre stati un passo avanti rispetto agli altri, mai scontati o inclini al manierismo, all’autocompiacimento.

Sono tanti quindi i motivi per vederli nei loro prossimi concerti italiani, a cominciare dai due in programma il 5 e 6 novembre al Teatro degli Arcimboldi di Milano per cui è già tutto esaurito.

La storia dei King Crimson è lunga e ha vissuto diversi cambi musicali e di formazione con un unico punto di riferimento: il chitarrista Robert Fripp, genio musicale e vero padre padrone della band. Sarebbero tanti gli album da ricordare, ma per molti In the court of the Crimson King rimane il capolavoro assoluto sia per qualità compositiva sia perché – di fatto – fece da volano a tutto un genere musicale, che vedrà poi in Genesis, Yes, Emerson Lake & Palmer, Pfm e tanti altri gli alfieri. Peraltro, questi gruppi mai nascosero l’importanza, come fonte d’ispirazione, che l’album di esordio del Re Cremisi ebbe nella loro formazione.

E di quel movimento musicale i King Crimson rimasero sempre non solo gli ispiratori, ma anche l’ala più propensa all’evoluzione, alla contaminazione.

In the court of the Crimson King, come spesso avveniva all’epoca, amplificò ulteriormente il suo impatto grazie anche a una delle più belle copertine della storia del rock, una sorta di Urlo di Munch del progressive.

Nel nuovo The Elements of King Crimson Tour 2016 in arrivo in Italia, la band si presenta con una formazione che comprende, oltre all’immancabile Robert Fripp, il sassofonista Mel Collins, Jakko Jakszyk alla chitarra, ben tre batteristi (Gavin Harrison, Jeremy Stacey, Pat Mastelotto) e Tony Levin, uno dei migliori bassisti di sempre, il preferito di Peter Gabriel.

Saranno loro a incarnare l’ennesima metamorfosi del gruppo e a guidare in un viaggio senza tempo all’interno della corte del Re Cremisi.