Il giorno dopo le elezioni regionali tenutesi in Emilia Romagna e Calabria è tempo di bilanci nei partiti o, meglio sarebbe dire, di un tutti contro tutti. L'unico immune da critiche è Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, che, raggiungendo quasi il 20%, diventa il primo partito del centrodestra in Emilia dove doppia Forza Italia ormai in liquidazione, rintuzza le mire di Tosi per la leadership nel partito e si pone come homo novus per un nuovo centrodestra in salsa lepenista pronto a soffiare sul fuoco delle paure degli italiani in campo sociale ed economico e "a varcare il Rubicone" per fare della "fu Lega Nord" un partito nazionale alla ricerca di voti dei forzisti e dei grillini delusi finanche al Sud.

(O tempora, o mores!)

Scosse telluriche all'interno del M5S che non supera il 15% in Emilia, la terra dove era partito lo tsunami a 5 Stelle e tocca il 5% in Calabria. Numeri da far tremare i polsi se paragonati a quelli delle politiche e delle stesse europee e che sembrano confermare una fosca profezia di Calogero Mannino nell'estate del 2013: il M5S rischia di ripetere la parabola del movimento dell'Uomo Qualunque di Giannini, l'anti-partito che alle elezione del 1946 per la Costituente superò il milione di voti. Nel frattempo i duri e puri come Di Stefano e Di Battista rinfacciano il risultato a quei parlamentari (Di Maio?) che si sono mostrati dialoganti con il Pd. Tutti i dissidenti imputano la sconfitta alla exit strategy di Grillo e alla gestione verticistica del Movimento nato con il mantra "uno vale uno" e ben presto rivelatosi alla stessa stregua di un qualsiasi partito lideristico dove uno vale più di tutti e fa e disfa assecondato da soldatini e signorsì (bella vita, la loro..se durasse).

A proposito di soldatini e signorsì, Forza Italia conosce una debacle storica: scende sotto il 10% e si avvia verso un mesto declino posta in liquidazione dal grande Capo, agnello sacrificale da immolare in cambio della salvezza della roba di verghiana memoria come, si dice, sancito nel Patto del Nazareno.

Qualcuno pensava che bastava ripetere come un mantra di voler tornare allo spirito del '94 o approntare dei casting per il nuovo Renzi del centrodestra (sic!) così da limitare i danni; il risultato è che il partito è una polveriera.

Fitto, uno dei pochi che i voti li ha davvero, è ritornato alla carica e lo ha bombardato chiedendone l'azzeramento delle cariche, addirittura Maurizio Bianconi, ex tesoriere del partito si spinge a chiedere in una lettera aperta a Berlusconi di andarsene e fondare un nuovo partito con "Doris, gli amici del Patto, i volti nuovi, i selezionatori, e quelli che si autodefiniscono fedelissimi" lasciando alla vecchia guardia del partito il compito di fare opposizione e "tentare il riscatto e la rinascita del centrodestra" (vai avanti tu che a me mi vien da ridere).

Se Sparta piange Atene non ride. Nonostante la pioggia di tweet con cui Renzi ha commentato la "vittoria netta" dando dei chiacchieroni forse a chi si permetteva di evidenziare il dato dell'affluenza mentre, ipse dixit, loro nel frattempo cambiano l'Italia e nonostante la dichiarazione rilasciata in Austria, con sorrisetto baldanzoso, sul fatto che, da quando c'è lui, il Pd ha sempre vinto alle elezioni regionali, dall'Emilia, la regione che ha sempre garantito la più alta affluenza alle urne in Italia e al Pd una messe di voti arriva un messaggio preciso riassunto in maniera sublime e sibillina da Romano Prodi: "come fai il letto, così dormi..".  Quasi 700mila voti persi nella rossa Emilia, la minoranza Pd "guidata" dalla Camusso ha lanciato un segnale. Il Vietnam parlamentare sarà sul Job Act o sulla riforma elettorale? Matteo #staràsereno?