Sarebbero gli stessi mandanti del giudice Borsellino, le famigerate "Entità esterne", a volere la morte del PM Di Matteo. Il regista materiale dell'attentato dovrebbe essere, secondo gli inquirenti, la "primula rossa" di Cosa Nostra quel Matteo Messina Denaro latitante dal '93, giusto in tempo per evitare le condanne contro di lui per la stagione stragista di quegli anni. La missiva, inviata dal successore di Riina e Provenzano, ai capimandamento di tutta la Sicilia non lascia dubbi sulle intenzioni della criminalità organizzata. La lettera, inviata a fine 2012, conterebbe le istruzioni per preparare l'attentato oltre al motivo dello stesso: secondo Matteo Messina Denaro infatti Di Matteo si sarebbe spinto troppo oltre nelle sue indagini sulla Trattativa.
Contenuto simile ad un'altra lettera, quella minatoria inviata al Procuratore Generale di Palermo Scarpinato. Se così fosse sarebbe naturale pensare che il super-latitante si stia elevando di nuovo a punto di riferimento per una nuova stagione stragista. Innumerevoli sarebbero i quesiti in testa agli inquirenti: per chi lavora Matteo Messina Denaro? Chi sono i mandanti esterni, le menti raffinatissime, che continuano, dopo vent'anni, a giocare con i fili del potere dello Stato italiano e con la trama di alleanze scabrose, come quelle con Cosa Nostra?
E ancora per quale motivo, dopo gli esiti negativi dell'ultimo scontro fra Stato e Mafia, il boss dovrebbe sposare di nuovo una linea simile?
Possibile che sia l'unica soluzione a portata del nuovo boss di Cosa Nostra, messo recentemente alla stretta dagli innumerevoli arresti dei suoi uomini? Forse il tanto decantato stragista è solo una marionetta nelle mani di qualche "puparo" delle istituzioni? Sicuramente intralciare le indagini del pool di Di Matteo eviterebbe di portare alla luce molti segreti sui torbidi intrighi degli anni '90.
Basta pensare al famoso "papello" che Riina consegnò a Mori e Ciancimino per intavolare una trattativa con una parte deviata delle istituzioni, anche se il boss corleonese fu l'unico a non beneficiare della stessa.
Fu Provenzano, dopo l'arresto nel '93 di "Zù Totò", a prendere le redini della Cosa Nostra occupandosi di riallacciare i rapporti con politici di spicco e di ristabilire una "pax" con le istituzioni.
I tramiti, forse oggi possiamo dirlo con più sicurezza rispetto al passato, furono Dell'Utri, come garante e Berlusconi co-fondatori di Forza Italia.
Seneca avrebbe detto: -Qui prodest scelus is fecit- a chi giova il delitto è colui che l'ha commesso. L'ipotesi di una Terza Trattativa,dopo la prima tentata da Riina e la seconda attuata da Provenzano, si fa sempre più largo nella mente di magistrati e forze dell'ordine. Nel '92 ne fecero le spese Falcone e Borsellino che proprio in quella direzione avevano rivolto le attenzioni delle proprie indagini.
Dopo più di vent'anni non resta che augurarsi un diverso esito che vedrebbe in nella logica mafiosa Di Matteo come prossimo "cadavere eccellente" e capro espiatorio delle colpe di politici e mafiosi che di affari a braccetto sembrano averne conclusi molti. Forse è per questo che il PM palermitano fa così paura ad assassini del calibro di Matteo Messina Denaro e a potentissimi imprenditori e uomini di potere.