Fatto a pezzi per non aver voluto tradire Palmira e la sua missione. C'è un perché dietro alla barbara esecuzione da parte dei jihadisti dello stato islamico che hanno decapitato e lasciato appeso a un palo della luce il corpo di Khaled al Asaad, archeologo siriano e direttore del museo di Palmira. Sebbene fiaccato da settimane di prigionia, l'ottantunenne intellettuale non avrebbe voluto rivelare dove aveva nascosto i reperti più preziosi che aveva dato ordine di nascondere una volta compreso che la città sarebbe caduta nelle mani dei miltanti di al Baghdadi.

Pragmatismo jihadista

La forza dello stato islamico è quella di aver saputo coniugare una barbara violenza per intimorire le popolazioni e piegare ogni resistenza a un sapiente sfruttamento dei territori conquistati prima attraverso alleanze tribali con i capi locali, poi usandone le risorse. In Iraq del nord mettendo le mani sul petrolio, ma soprattutto svuotando le casse delle banche di Mosul una volta conquistata. In Siria cercando non solo di distruggere, ma anche di rivendere, per migliaia di dollari, i reperti di Palmira che hanno un immenso valore sul mercato nero delle opere d'arte. Un piano ben congegnato con Khaled al Asaad che però si sarebbe messo di traverso.L'uomo sapeva di essere in pericolo sin da quando è apparso chiaro che nessuno sarebbe venuto in aiuto alla resistenza di Palmira e che non sarebbero bastati i bombardamenti americani per avere ragione dello stato islamico.

Nel giugno scorso si era diffusa la notizia, probabilmente favorita dagli stessi jihadisti, che questi avessero minato le rovine di Palmira. Una furia iconoclasta ben nota, per quello che gli uomini in nero avevano fatto in Iraq ad Hatra, Nimrud e nel museo di Mosul, Abdelkarim. Lo Stato islamico ha però comunicato di avere distrutto alcuni busti romani trovati in possesso di un contrabbandiere nella provincia di Aleppo.

Alcune fonti della resistenza aveano però detto che si trattava di falsi. Si sospetta che la notizia fosse stata montata ad arte, sempre da Isil, per coprire un traffico di reperti che va avanti in maniera sistematica e che sembra sia stato messo in piedi proprio dai jihadisti.