Un bambino dovrebbe guardare sempre i cartoni animati e non morire in mezzo al mare dopo un naufragio. Queste cose loro, i bambini, le dovrebbero vivere attraverso lo schermo di una televisione, oppure al cinema con mamma e papà. Le storie di avventura così forte dovrebbero essere solo raccontate da immagine e interpretate da attori e non dovrebbero essere mai vissute in prima persona. I naufragi per un bambino non dovrebbero finire con la morte del protagonista. Il racconto dovrebbe terminare con uno straordinario e meraviglioso “e vissero tutti felici e contenti” senza morti né feriti, senza lacrime né urla, senza attesa del meglio perché il meglio è già avvenuto.
Eppure le storie belle esistono ma non sono la regola per i bambini che attraversano il Mediterraneo insieme ai propri genitori per trovare fortuna nel nord Europa. I bambini siriani sono l’incubo nei loro occhi e vivono la violenza delle onde del mare, i morsi della fame, i brividi del freddo delle acque che, nonostante sia appena settembre si fa sentire. Partono perché nel loro paese c’è poco da fare, da realizzare, da sognare. Da una guerra si può solo scappare a gambe levate e sperare altrove. dalla Siria dove i teatri di Guerra sono spaventosi. E'è qui chela crisi umanitariasi è aggravata, dopo lo scoppio della guerra.
Chissà qual è stato l’ultimo pensiero di quel bambino così piccolo arenato sulla spiaggia, vestito ma tremendamente morto.
L’acqua lo ha cullato fino alla riva rivelandosi la madre e la matrigna nello stesso tempo. Lo ha condotto fin sulla spiaggia e come una madre gli avrà fatto compagnia ma come un assassino quelle acque lo hanno ucciso. La foto di Aylan ha fato il giro del mondo. In pochissimi minuti il mondo conosceva quel bambino e poco altro.
Di lui si sapeva solo che era arenato su quella spiaggia. Capelli marrone scuro, una maglietta rossa e un pantaloncino blu, le scarpe ben allacciate e le manine lungo i fianchi, buttate lì senza vita. Si sapevano pochi dettagli ma tutti inutili. Ciò che più contava era quel bambino morto, simbolo di una tragedia che sa troppo di film dell’orrore.
I naufragi di imbarcazioni di fortuna con a bordo migranti provenienti dal nord Africa sono purtroppo il pane quotidiano. Indignazione, sgomento, presa di coscienza, poi le polemiche su quello scellerato chi tocca a chi aiutare. L’Europa, la Germania, e l’Italia. Accogliere, non accogliere, noi non ce la facciamo da soli. Eppure si piangevano morti, si aiutavano i superstiti e si cercava di costruire una realtà diversa per loro. Quella foto di Aylan ha ucciso le coscienze di molti. Come si può sopportare tutti questo?
Le testate giornalistiche che hanno postato la foto sui social e sbattuto in copertina quel bambino sono state al centro di forti polemiche e se in Inghilterra l’Indipendent lancia una petizione affinchè il paese accolga la giusta quota di migranti come tutti gli altri paesi europei, ha anche aperto nelle redazioni e nell’opinione pubblica accese polemiche.
Fin dove arriva il giornalismo e fin dove si può toccare la sensibilità del pubblico? Ebbene. La foto è il disastro. Non vi sono se e ma. La foto è bestiale. E forse per prendere coscienza non serviva che questa foto.
Le polemiche chein Europahanno animati i tavoli governativiforse finiranno finalmente.Nessuno ha più asilo: né quel bambino, né i profughi provenuti come lui dalla Siria, né l'Europa.Per uccidere il menefreghismo, la banale indignazione, non serviva che Aylan a ricordarlo. Quegli occhi chiusi e quelle braccia morte lungo la schiena.