Non un film sull'Olocausto, ma L'Olocausto. Dentro l'orrore, dentro la morte. Al di là del filo spinato, al di là di ogni recinzione.Il regista ungherese Laszlo Nemesvarca limiti sinora solo sfiorati dalle precedenti pellicole sul tema della Shoah, proiettando lo spettatore in una realtà che non conosce umanità. Una realtà che coinvolge, travolge, sconvolge. Non c'è più spazio per i dubbi, non ha più luogo la poesia, non esistono più le sfumature. Il male trova la sua massima definizione in quei cadaveri ammassati, in quei corpi privati della loro anima, in quel sangue rappreso, in quei rituali di morte, in quel fuoco che arde senza posa.

"Il figlio di Saul" osa, svela, costringe ad andare oltre. Ogni senso è inesorabilmente coinvolto. Gli occhi non osservano l'orrore, lo vedono. E le mani lo toccano. L'odore della morte avvolge senza scampo le narici; urla strazianti e grida efferate catturano, impietose, le orecchie; il sapore del sangue imprigiona la bocca. E l'aria, intrisa di quell'orrore che non lascia spazio all'immaginazione, vienesferzata dal flebile fiato dei moribondi.

Una storia oltre la storia

Protagonista del film è Saul, un Sonderkommando,ossia un deportato addetto alla rimozione dei cadaveri gassificati e alla pulizia delle camere della morte: un "lavoro", questo, che nei lager consentiva di sopravvivere un po' di più.

Scampoli di vita sottratti alla morte e nutriti dalla morte stessa.

Una catasta di cadaveri, un rantolo, il corpo di un ragazzino miracolosamente sopravvissuto alla camera a gas. Saul lo sente, lo cerca, lo trova. A volte, è la vita stessa che, da sé, ruba attimi preziosi alla morte.

Salvare quella vita: questo vuole Saul. Purtroppo, però, il desiderio e la speranza che si fanno strada nel suo cuore hanno le vesti grigie dell'impossibile.

Steso su una sudicia barella, il ragazzino viene auscultato dal medico nazista che, premendogli le mani sul viso, ne sopprime l'ultimo anelito di vita. La morte si riprende il suo spazio. Saul assiste, inerme e impotente, ma dentro di sé sente l'esigenza, impellente e incalzante, di sottrarre il corpo di quel "figlio", di suo figlio, all'incenerimento, di dargli una degna sepoltura.

È a questo punto che il bisogno di fare memoria sfuma nell'urgenza di onorare i morti. Il dovere religioso e quello morale sfidano l'assordante frastuono delle mitragliatrici, combattono le infernali fiamme dei forni. Occorre un rabbino e Saul ne va alla ricerca. Oltre ogni raziocinio, oltre ogni umano istinto di conservazione. Quel ragazzo è suo figlio. E lo è perché è l'emblema di ogni figlio sacrificato al male, di ogni corpo nudo e muto avvolto dall'orrore. Quel ragazzo è figlio di Saul perché è figlio della storia: una storia raccapricciante, una storia che non piace, una storia che tende a ripetersi con sembianze e facce diverse.

Alla fine del film, è proprio la morte che consegna alla vita le chiavi di una nuova alba. Un richiamo alla pietasdi ogni essere umano. Qui, e solo qui, si riaffaccia la poesia. Nella Giornatadella memoriae in quelle che verranno,non dimentichiamo di tenere gli occhi attenti sul presente.